La notte successiva alla morte di Carlo Giuliani, 23enne ucciso a Genova il 20 luglio 2001 da un carabiniere, qualcuno cancellò con un pennarello la targa “Piazza Gaetano Alimonda” e scrisse “Carlo Giuliani, ragazzo”.
E questo è il titolo scelto da Francesca Comencini per il suo documentario (leggi la scheda) che sarà presentato lunedì 20 maggio a Cannes nella Selezione Ufficiale, Séance Speciale.
60 minuti in cui Haidi Giuliani, la madre, inquadrata a camera fissa, racconta con voce ferma il 20 luglio 2001 di Carlo, il giorno in cui ha incontrato la morte.
Durissime le parole conclusive: “In Italia non c’è la pena di morte nemmeno per i delitti più terribili, Carlo è stato condannato a morte e torturato”.
La ricostruzione si intreccia con le immagini del corteo dei disobbedienti tra cui alcune in cui, in mezzo ad altri manifestanti, compare Carlo. Poi fotografie del ragazzo e le sue poesie in italiano e in latino.
Come tutti i film della Fondazione Cinema nel Presente, quella nata sull’onda delle giornate di Genova, lo produce Mauro Berardi per la Luna Rossa Cinematografica.
Quando è nata l’idea del documentario?
I giorni del G8 ero a Genova per girare con gli altri registi italiani il film Un mondo diverso è possibile. Non mi è piaciuto il modo in cui molti giornalisti hanno trasformato Carlo da vittima a colpevole. Lo hanno etichettato come blac bloc e punkabbestia: non era vero ma anche se lo fosse stato non bastava per condannare. L’idea del documentario è nata ascoltando le dichiarazioni di Giuliano Giuliani i giorni successivi alla morte del figlio e nel corso della realizzazione ho scoperto che Carlo aveva una personalità intensa e straordinaria. Un ragazzo intelligente con l’ossessione di occuparsi degli altri.
Come è stata accolta la tua proposta dalla Fondazione Cinema nel Presente?
C’è stato subito l’accordo unanime politico e umano. Tutti hanno messo a disposizione i materiali girati nelle giornate di Genova: una risorsa fondamentale per la riuscita del documentario costruito con immagini di Daniele Segre, Mario Balsamo, Luca Bigazzi e molti altri registi italiani presenti a Genova. La Fondazione è l’iniziativa politica più importante del cinema italiano degli ultimi anni. Va dato merito a Francesco Maselli di averla promossa.
L’incontro con Haidi Giuliani?
Ci siamo viste più volte: prima a Genova poi a Porto Alegre, durante il World Social Forum 2002. È una donna fragile, determinata e autorevole. Dalle sue parole emerge una visione estremamente politica della morte del figlio, ma anche l’amore immenso di una madre.
Eppure non le interessa svelarlo perché appartiene a lei sola. Ecco, questo grande pudore mi ha molto colpita. Ho scelto di intervistare la madre e non il padre di Carlo perché ho 3 figli e mi identifico molto con lei.
Alle sue parole si alternano le immagini degli scontri…
Si, perché il documentario mostra come il percorso di un singolo si intreccia a quello di una moltitudine per andare verso il disastro. Carlo è un po’ il simbolo del corteo dei disobbedienti: 15 mila persone caricate dalle forze dell’ordine lontano dalla Zona Rossa e senza possibilità di fuga. Era naturale che reagissero alla violenza.
Non voglio trasformare Carlo in un eroe ma raccontare in modo sobrio chi fosse. Il mio è un film politico ed etico che rivolge delle domande sull’uso delle armi e delle parole a tutti coloro, di destra e di sinistra, che hanno a cuore le sorti della democrazia.
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