Si sono appena concluse le riprese di Vetro, opera prima di Domenico Croce, con Carolina Sala, Tommaso Ragno e Marouane Zotti, prodotto da Daniele Basilio e Silvio Maselli per Fidelio con Vision Distribution. E’ il primo titolo cinematografico prodotto da Fidelio, giovane società di produzione cinematografica e audiovisiva fondata da Basilio e Maselli, manager dell’audiovisivo da 20 anni; del team creativo della società fanno parte anche i soci Valerio Mastandrea e la danzatrice e coreografa Elisa Barucchieri.
Il film è un thriller psicologico, storia di una giovane “hikikomori”, definizione che si dà agli adolescenti che scelgono di trasformare la propria stanza in una prigione senza tempo, isolandosi da tutto e da tutti. Lei, spiando i vicini di casa, si accorge che nell’appartamento di fronte sta succedendo qualcosa di spaventoso. Ma il suo desiderio di indagare si scontrerà con l’impossibilità di uscire dalla propria stanza, e aprirà degli scenari inaspettati.
Croce è vincitore del David di Donatello per il corto Anne. Gli effetti speciali digitali sono affidati a Edi e lo special make up ad Andrea Leanza (entrambi premiati ai David di Donatello 2021). Sarà distribuito in Italia e nel mondo da Vision Distribution.
“Tutto nasce da un soggetto – dicono i produttori – che due brillantissimi autori, Ciro Zecca e Luca Mastrogiovanni, ci hanno inviato esattamente un anno fa, subito dopo il primo lockdown, e che ci ha colpiti per la potenza del tema e la storia raccontata. In pochi conoscono la sindrome degli hikikomori ed è un’emergenza che abbiamo scoperto essere sconfinata, c’è un’associazione specifica in Italia e si conta che ci siano almeno 100mila casi, senza una letteratura scientifica e psicanalitica a riguardo, le scuole non sono preparate a quello che è diventato un fenomeno di massa, sobillato anche dalla pandemia”.
La pellicola è interamente girata in teatro di posa. “E’ una scelta produttiva specifica – continuano Basilio e Maselli – quello che gli americani chiamano ‘high concept’, che ci permette di valorizzare al massimo il senso di claustrofobia dettato dalla storia e le potenzialità creative e visionarie di regista, direttore della fotografia, scenografo ed effettisti. E’ un film relativamente piccolo ma con un impianto produttivo ‘di genere’ e un respiro internazionale. Il tema è universale, vogliamo che questo sia il nostro marchio di fabbrica: portare a casa i progetti in termini produttivi ragionati e ragionevoli, ma stando nel mercato e su una dinamica per cui conta la qualità della storia narrata più che la quantità della messa in scena. In questo anno così strano per i numeri e quello che succede, dovevamo assolutamente raccontare storie di profilo altissimo, e crediamo fortemente che il lavoro in teatri di posa rappresenti il futuro per il cinema italiano, che deve imparare anche a lavorare in questo modo. La magniloquenza della macchina cinema a volte può distrarre un giovane autore, che in prodotti più raccolti deve invece concentrarsi sul suo lavoro e quello che sta raccontando”.
Dunque, chiunque può proporre un progetto a Fidelio? “Ci piace pensare a un’apertura assoluta – dicono ancora i due soci – ma la verità è che il momento è delicato e in particolare lo è la fase ricettiva dei soggetti. Finanziatori e partner produttivi, in un’epoca così globale, temono che un soggetto possa assomigliare troppo ad altri che magari vengono realizzati dall’altra parte del mondo, e bisogna stare molto attenti. Lavoriamo attraverso i grandi premi, ad esempio col Solinas che ci ha fornito un altro progetto sempre sugli Hikikomori, ma in chiave documentaristica, che faremo con Sky. Oppure con agenti e scouting, proprio durante il lockdown abbiamo visionato più di 100 cortometraggi e così abbiamo conosciuto Croce, che poi ha vinto il David. Siamo pure propositivi. A settembre andremo sul set con My Soul Summer, un film che parla di musica. Non un musical, ma una storia di talenti musicali, a cui lavoreremo con Rai Cinema e Bartleby Film. Altra via è la ricerca di titoli letterari, come Le tre del mattino di Gianrico Carofiglio, anche questa una storia concentrata, con pochi personaggi, che ha venduto 300mila copie in Italia ed è stata inserita tra i libri più venduti in USA dal ‘NY Times’, e ancora una docu-fiction sul “processo Emilia”, il più grande processo sulla malavita fuori dal Mezzogiorno, shock culturale degli anni ’80 che fece venir fuori come un clan della ‘Ndrangheta si fosse inserito nell’economia di una zona ‘insospettabile’, concludendosi con la condanna di 240 persone, alla sbarra in un maxi processo come al Nord non si è abituati a vedere. E’ tratto da un libro di Elia Minari, oggi avvocato, ieri ragazzino che con il suo giornale scolastico, iniziando da una discoteca, scoperchiò una realtà di cui lui stesso non aveva idea”.
Fidelio, ovviamente, è un nome che richiama alla mente Kubrick. “Kubrick – conclude il duo – ma anche Beethoven. Volevamo un nome che fosse leggibile sia in Italiano che in lingua straniere e rendesse omaggio alle nostre passioni, cinema e musica. Inoltre, il ‘Fidelio’ è l’unica opera dove una donna salva il maschio, invece di comportarsi come una damigella indifesa o una pazza suicida. In epoca di ‘diversity’ ci è sembrata una scelta assai moderna”.
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