MILANO – Sicilia, Natale. L’entroterra e un nonno (Fabrizio Ferracane), quello di Veronica (Giulia Dragotto), adolescente che sta lì trascorrendo il periodo delle feste, incrinate da una scomparsa.
Una donna, Agata, si rarefà nel nulla e il terrore del mostro si riaffaccia, dopo dieci anni.
L’affetto si fa sospetto per Veronica, che non sembra accecata dall’attaccamento al nonno, e non esclude possa essere lui il male della vicenda: essere o sembrare? Chi è Carlo, e cosa c’entra davvero con quella scomparsa, e con la morte di altre vittime pregresse? Le psicologie nere – qualora lui lo fosse davvero – sono eccezionalmente ammorbidite o ulteriormente urtate se a metterle in discussione è un affetto così prossimo, di sangue? La morale riesce a restare colonna inscalfibile? Il senso di tutela della famiglia può essere un crimine più efferato dell’ammissione della verità?
Il film di Simone Valentini cerca un equilibrio complesso ma la storia lo guadagna, nel bilanciamento tra responsabilità e innocenza, abbracciato dalla briglia famigliare che può discriminare ma anche connettere, così come il contesto, la provincia, altra protagonista.
Fabrizio, il concetto di ‘noir’ ha per lei una doppia valenza, quella del genere, per cui la sua personalità attoriale è spesso calzante – da Anime nere a Il re, passando per Bellocchio – e poi Noir in quanto Festival, dove non è ospite debuttante, penso infatti a Diario di Spezie per cui era già stato a Milano, come anche tra i protagonisti di Una femmina di Costabile – in selezione per il Premio Caligari 2022, e adesso accompagna Indelebile, per cui riceve il Premio Luca Svizzeretto 2024. Quindi, qual è il suo legame con il noir, cosa la appassiona, cosa la affascina, cosa le fa accettare spesso ruoli in questo genere; e quale valore attribuisce a un festival che fa del genere noir il proprio spirito guida?
La parola ‘noir’ non l’ho mai vissuta addosso, ma la cosa pazzesca – pensando ora a questa domanda – è che ci sia effettivamente questo blu notte, questo colore scuro, velato e nero, in cui si vedono le cose sotto una certa tensione, con un passo deciso ma quasi timoroso per chi lo guarda, per cui, ascoltando i film che mi ha elencato, rifletto che non abbia mai pensato a questa linea di connessione, invece è pazzesco, perché aderiscono totalmente, è una lama sottilissima, che fa male come hanno fatto male quei film, ma ‘male’ nel senso bello, bellissimo, perché quando succede che i film facciano male vuol dire che il pubblico si alza dalla sala e comincia a domandarsi… Penso per esempio a Misericordia di Emma Dante, per cui io ringrazio chi mi dà la possibilità di raccontare queste storie, queste bestie, che mi pregio il lusso di mettermi addosso, perché questi uomini orribili che stuprano o fanno male alle donne stanno in mezzo a noi, quindi io me ne prendo carico volentierissimo se devo raccontarli e sputtanarli, metterli a nudo. I personaggi noir, da Anime nere a Una femmina, mi esalto quando devo raccontarli. Il Noir in Festival dovrebbe essere osannato, come quando la gente alza al cielo il capitano di una squadra e lo festeggia: merita di essere portato sempre più in alto, anzitutto perché fa un lavoro di ricerca straordinario, chi si occupa della selezione è davvero interessato allo scoprire, non c’è appiattimento: mostra cose interessanti e belle, sin dalla locandina, qualcosa che ti fa uscire da casa e aver voglia di andare a guardare… e capire di più.
Restando in tema di genere, c’è anche una serie in uscita, The Bud Guy 2 – dal 5 dicembre su Prime – sempre affine al soggetto ‘nero’: lei è protagonista come Cataldo Palamita, braccio destro del boss Mariano Suro. Quali tratti noir del suo essere attore ha toccato e fatto emergere, tenendo conto anche di un altro spirito proprio della serie, quello della Commedia?
Esattamente! La base è una sospensione, una musica scura l’accompagna ma poi diventa come un swing, quindi la commedia: Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana hanno un ritmo che fa sorridere, non ridere stupidamente ma ridere pensando, e danno frecciatine, quindi il noir è sempre una sospensione, ma qui divertita.
Per il film di Simone Valentini, partendo dal titolo, Indelebile, è stato per lei un concetto fondamentale per definire la psicologia del suo personaggio, essendo una parola che in qualche modo non lascia scampo, una sorta di marchio a fuoco?
È un titolo a cui ancora sto pensando… e la domanda sul titolo non me la sono posta mai, forse perché sono molto pratico e penso sempre al pubblico e mi chiedo quanto un titolo – in generale – acchiappi o meno: poi, nella posizione del mio personaggio, non c’è una connessione così immediata col titolo, perché è più costruito sulle dinamiche, sui rapporti, che su un concetto.
Il ruolo che interpreta è quello del nonno, che per età anagrafica reale non le appartiene, ma che porta con sé, in senso assoluto – e nel film – un mondo affettivo che è altro dal paterno, più lieve e più complesso al contempo. Qual è stato il suo personale rapporto con i nonni e ha attinto da quel vissuto per questo ruolo?
Sì, assolutamente. I riferimenti al personale si fanno sempre, per forza. L’attore si deve corrompere, lo ripeto sempre: deve corrompersi e togliersi di mezzo per diventare quella pelle, quel sangue. Nel corso degli anni mi aiutano sempre di più le fisicità, quelle della mia barba, dei miei capelli, del mio modo di camminare, che sono suggeriti anche dalla sceneggiatura e dal parlarsi con i reparti; qui, il parrucchiere mi ha proposto di far crescere i capelli, poi pettinati un po’ indietro e poi ondulati da una parte, cosa che mi ha ricordato perfettamente mio nonno Hopps (cognome): mia madre, la mia prima fan, è figlia del barone Hopps, che ha fatto due guerre e ancora il palazzo dove vivono i miei a Castelvetrano è infatti Palazzo Hopps, questo per dire che la sontuosità dello stare, del guardare, della presenza del personaggio mi ha ricordato tantissimo mio nonno, così come quando portava i cappotti, un capo con cui ho un rapporto sempre particolare; il rapporto che il nonno del film ha con la nipote ricorda mio nonno, ma anche mia nonna Enza, mamma di mio papà, che aveva un amore spropositato per tutti i nipoti: mi ricordo ancora il profumo della pasta con i piselli che ci preparava o l’insalata prima del pasto. Così come per gli scontri che si verificano nel film, la situazione certe volte mi è stata suggerita dagli scontri che ricordo tra mio cugino Cristian e il nonno Hopps, quando lo rimproverava.
In qualche intervista ha dichiarato che con i giovani autori si permette di proporre di più…: giovani sono Stasi e Fontana di The Bad Guy, così come Valentini: nell’uno e nell’altro caso, ha proposto? Se sì, cosa precisamente per Palamita e cosa per il nonno?
Mi permetto, assolutamente sì! Il cinema si fa insieme: i primi anni stavo lì e proponevo in silenzio, con lo sguardo, con l’attenzione, oppure una volta partita l’azione; su Indelebile, quando mi è arrivata la sceneggiatura, seppur non scriva amo molto i dialoghi, ho proposto a Simone una riflessione, rispetto a cose che magari erano già state dette e quindi non ce ne fosse ancora bisogno, oppure ci fosse necessità di aggiungere qualche parola: penso di essere una persona limpida e quindi quando propongo non lo faccio per vincere io ma per vincere tutti insieme, e la scena vince anche se io dicessi sette parole in meno; con The Bad Guy ricordo una scena in un furgone con Selene Caramazza, in cui ho proposto una risata che io inizio a fare, poi è funzionata molto bene. Quando le persone sono intelligenti c’è l’ascolto, per cui recepisci e poi restituisci, sia nella vita che nel mestiere, questo lo avverto moltissimo in teatro: se uno del pubblico sbadiglia, o mi punta gli occhi addosso a bocca aperta, è ovvio io lo percepisca, quindi la battuta non viene stravolta ma quel gesto dalla platea è stato un modo di partecipare, quindi crea una sfumatura.
La Sicilia, la sua Sicilia, con il nero ha un rapporto strettissimo – tra metafora, verità e talvolta anche retorica: la Sicilia è sia nella serie che nel film, ed è una specifica non solo geografica, ma proprio culturale. Quanto c’entra il suo riuscire a calzare il genere noir connettendosi al luogo, e quale Sicilia l’ha ispirata o influenzata per la serie e quale per il film?
Sono convinto che tutto parta sempre dalla storia, ma poi, pensando a me, io sono Sicilia, questo è indubbio: sono nato qui, ho vissuto vent’anni a Roma ma mi portavo lì la Sicilia, è indelebile… Io sono questa terra, poi divento, strutturo, costruisco la montagna, o il castello di sabbia del gioco del film: la Sicilia è una parte e a parte, è una fondamenta inconscia, a prescindere, su cui io poi costruisco lo specifico. (e a questo punto, per restituire il senso di Sicilia, Ferracane comincia a recitare, ndr) ‘È la terra, la terra dei ciclopi, omacci tutti neri, ch’hanno spalle come un monte e mani grandi grandi, da guerrieri, e un occhio, un solo occhio, al centro della fronte, e un occhio che vale un capitale, un occhio della testa, e braghe come vele al fortunale e ettari di camice per la festa e piedi lunghi lunghi che pesano un quintale e scarpe come barche squassate alla tempesta. E hanno il cuore tenero, la testa da tiranni e sono mezzi arabi, mezzi normanni, mezzi angioni, mezzi aragonesi, tre quarti diavoli e un quarto santi’ e così via…: è un testo che ho recitato per Sade Mangiaracina, scritto da Rino Marino, con cui io ho fatto compagnia di teatro per dieci anni, letto per il concerto A nome loro – musiche e voci per le vittime di mafia, nella ricorrenza dell’arresto di Matteo Messina Denaro.
Il film con Lucy Liu e Julia Fox in anteprima al Noir In Festival, dopo il passaggio al Sundance: una storia che ribalta il senso della paura estrema, con una personalità registica fortemente soggettiva, in cui uno specchio e gli stacchi a nero sembrano occhi e palpebre. Dal 6 febbraio al cinema con Lucky Red
Grassadonia e Piazza: il film dei due autori siciliani è tra i 6 italiani finalisti per il riconoscimento, ideato da Gianni Canova con Giorgio Gosetti, organizzato dal Noir in Festival in collaborazione con Università IULM e “CinecittàNews”. L'appuntamento: 4 dicembre 17.30 presso l’ateneo milanese
L’anteprima del VI episodio di Gangs of Milano - Le nuove storie del Blocco, directors’ cut con interpreti anche Alessandro Borghi e Elisa Wong. La serie Sky Original è diretta da Ciro Visco, ospite – con il rapper e attore – della serata di apertura del Noir In Festival 2024
Il regista ospite al Noir in Festival per presentare il suo film, tra i 6 italiani finalisti per il riconoscimento, ideato da Gianni Canova con Giorgio Gosetti, organizzato dal Noir in Festival in collaborazione con Università IULM e “CinecittàNews”: martedì 3 dicembre ore 17.30 presso l’ateneo milanese