Avventura, commedia e animazione per tutta la famiglia: così, Il toro Ferdinando, 80 anni all’anagrafe cinematografica (fu un corto premio Oscar del 1938, prodotto dalla Disney), torna sul grande schermo, robusto nel fisico e corvino nel manto, ma soprattutto mansueto gigante disinteressato alla corrida. Le narici, le grandi e umide narici, sono una delle parti del muso di un toro che più inquietano, annunciano la rabbia e la carica dell’animale. Non quelle di Ferdinando però, che le dilata a più non posso per inspirare fino in fondo il profumo delle margherite. La gente di Spagna grida al mostro e si barrica in casa al passaggio del toro Ferdinando, ma la sua docilità lo fa incontrare con la spontaneità senza pregiudizi con una vivace bimbetta, Nina, e poi con la fratellanza di una fattoria di animali – soprattutto cinque tori, tre porcospini, un coniglietto e una capra sgangherata – la cui unione sarà la forza per donare infine a Ferdinando la tranquillità tanto bramata.
Il film nasce dalle pagine del libro “La storia del toro Ferdinando” (1936), scritto da Munro Leaf e illustrato da Robert Lawson, da cui fu tratto già il corto del ’38, ma qui il lavoro dello sceneggiatore Jordan Robert (già Big Hero 6) ha richiesto una florida narrativa e fantasia, per ampliare quelle cinquanta pagine di carta. Il compendio visivo e registico è giunto da Carlos Saldanha, pluripremiato autore brasiliano che ha diretto tre dei film della serie dell’Era Glaciale, Robots e Rio, e che a Roma ha presentato in anteprima il film, perfettamente immerso in un incontro che l’ha visto discutere con la stampa ma anche direttamente con il suo pubblico principale, i bambini.
Sono loro, infatti, a far raccontare a Saldanha il cuore del film e il suo senso, a partire dalla scelta del soggetto principale, un toro. “Ho amato moltissimo l’idea di fare un film con un animale di grandissime dimensioni, che nonostante questo fosse però di animo dolce”, anche perché “parte della storia ha a che vedere con il concetto di essere diversi, cosa che comporta che non tutti ti vogliano bene finché non ti conoscono, solo allora ti apprezzano. Il mondo in questo momento è difficile, io volevo realizzare un film per tutti: c’era bisogno di un messaggio buono e importante, come l’amicizia e la tolleranza”.
Ma dove c’è un buono, la fiaba insegna esserci sempre anche un cattivo, in questo caso impersonato da un torero, con cui però Ferdinando, nonostante tutto, riesce ad essere ancora una volta gentile: “Questo è il motivo per cui Ferdinando è speciale, non ha bisogno di essere cattivo nemmeno con le persone a cui non piace. Ferdinando è un toro buono perché ha il cuore gentile”. Saldanha ribadisce che il suo intento era fare un buon film con un messaggio di sentimenti delicati, come anche era intenzione dell’autore del libro, Munro Leaf, cosa ribadita dalla famiglia stessa dello scrittore, con cui il regista ha raccontato di essersi confrontato prima di decidere di dirigere questo film: “La prima cosa, leggendo il libro, che ho avvertito è stata l’amore per il messaggio, anche se non sono stato subito certo di volerlo fare, anche perché sarebbe stato il mio primo film tratto da un libro. Ho parlato poi con la famiglia per capire come rappresentare quello che il libro contiene. Per loro era importante che mettessi tutti i sentimenti, poi avrei potuto sentirmi libero, anche da un punto di vista estetico. Questo mi ha dato un senso di libertà. Il libro è stato bandito a suo tempo perché parla di pacifismo, fu bandito per come la gente aveva reagito alla sua lettura: sono le reazioni suscitate che hanno portato alla sottrazione della diffusione, laddove per esempio il torero era proiezione della società che opprimeva, come nella Spagna del dittatore Franco. Va detto che l’interpretazione del libro dipende dalla cultura d’appartenenza: Spagna e Italia hanno una storia precisa relativa l’oppressione, in Asia fu considerato invece come un libro ‘alla Gandhi’. Ho aggiunto parecchi personaggi nel film proprio per abbracciare il punto di vista di tutti”.
Sollecitato a riflettere su un’eventuale proiezione alla Casa Bianca, Saldanha ha detto che sarebbe interessante, anche se non è assolutamente un film politico, almeno non nelle sue intenzioni, ma soprattutto spera che il Presidente Trump abbia letto il libro ai suoi figli. Il film riflette l’intenzione emotiva del regista anche nella sua estetica, infatti: “Una vera sfida è stato il look che volevamo realizzare. Cercavo colori che potessero toccare il cuore, la Spagna ha i colori della terra e il contrasto con i verdi, questo per rendere il senso del Paese e della cultura. Per la scena di flashback ad effetto acquerello abbiamo sviluppato un software apposta, che poi potesse rendere anche con il 3D”, e da qui fa scia il mestiere connesso al sogno, che appartiene al cinema e specie all’animazione e che Carlos Saldanha racconta così, andando indietro a quando era bambino: “Ho sempre amato disegnare, però non sapevo come si facesse, così ho deciso di studiare seriamente per realizzare il mio sogno. Ho avuto modo di frequentare un’ottima scuola di animazione negli Usa, però la cosa più importante non è dove ci si trova geograficamente, ma poter perseguire il sogno che si porta nel cuore”.
Così come Ferdinando rimane coerente al suo sogno, al suo modo di essere e all’attualità del messaggio di cui si fa portatore, ovvero che: “vincitore è chi evita di combattere. La soluzione del problema non è la violenza. Nel processo di questo film sono partito dal terzo atto, cioè dal punto a cui volevo arrivare. Mi era chiaro che quel momento dovesse essere il momento chiave, il toro avrebbe potuto uccidere il torero ma la sua nobiltà sta nel fare una scelta differente”, ha concluso il regista.
Il film esce con un’anteprima nazionale in alcune sale selezionate il 16 e 17 dicembre, poi definitivamente dal 21 in formato 2D e 3D, distribuito da 20th Century Fox.
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