Una lapide è un ricordo fondamentale che racchiude l’essenza di una persona che non c’è più. Tanto più importante se quella lapide diventa un simbolo che rappresenta più persone che, con la loro volontà e il loro coraggio, hanno contribuito a scrivere la storia di un paese. Come ad esempio la lapide del milite ignoto. Diventa dunque di importanza cruciale prendersene cura, cambiare i fiori, rimuovere la polvere.
Simbolicamente, è questa l’operazione svolta dal regista Leonardo Tiberi con il suo film sperimentale Fango e Gloria, in sala dal 16 ottobre, una collaborazione tra Istituto Luce Cinecittà, La Regione del Veneto e il Gruppo Banco Desio che mette in scena la storia del “milite ignoto” che riposa nel complesso del Vittoriano alternando fiction e materiali d’archivio sapientemente modernizzati attraverso tecniche digitali di colorazione e restauro, per un quadro inedito e moderno della Prima Guerra Mondiale.
“Ho esperienza di materiali d’archivio – dice il regista – essendo stato direttore editoriale dell’Istituto Luce per diciott’anni. La mia linea guida è sempre stata quella di tentare di liberarli dallo strato di polvere che li fa sembrare qualcosa di antico, una curiosità tra il divertito e il divertente. Ad esempio abbiamo l’abitudine di vedere queste immagini che scorrono a velocità raddoppiata, come nei film di Ridolini. Ma si tratta semplicemente di un fattore ‘tecnico’. Il film a quei tempi erano girati a 16 fotogrammi al secondo ma lo spettatore del 1915 li vedeva a velocità naturale. Grazie alla tecnologia li abbiamo riportati alla loro velocità originaria, a livello di percezione. E poi c’è stato il processo di colorazione, che ha preoccupato molto i filologi. E’ vero che i filmati d’archivio siamo abituati a vederli in bianco e nero. Ma è vero che la guerra, invece, si è svolta a colori, e sicuramente gli operatori che coraggiosamente seguivano l’esercito nelle imprese più ardite, come il freelance Luca Comerio, avrebbero di gran lunga preferito avere delle macchine a colori. Per mantenere però l’atmosfera dell’epoca ci siamo basati sulla tecnica della bicromia, cercando di miscelare bene anche il materiale girato ex novo usando degli obiettivi specifici, d’epoca, che ci offrivano una certa morbidezza fotografica. Il risultato è questo: le immagini sembrano girate dieci e non cento anni fa, e a questo si aggiunge una colonna sonora in Dolby Stereo molto curata”. A sostegno di questa tesi interviene anche il professor Marco Pizzo, storico, direttore dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, che mostra alcune foto d’epoca inizialmente scattate in bianco e nero e ricolorate, nel 1915, con scopi di propaganda: “Significa – dichiara il professore – che la colorazione può essere anche un’azione filologica e sensata. Già allora si riteneva che il bianco e nero non fosse soddisfacente al fine di descrivere la realtà. Sicuramente c’è una tradizione di film di guerra, pensiamo a Orizzonti di gloria, che portavano con sé anche un afflato anti-bellico, con la critica all’establishment militare. Oggi si tende invece a raccontare la guerra dei ‘Mario Rossi’, degli uomini qualunque”. La parte “di finzione”, girata in circa due settimane sui luoghi reali del fronte occidentale, tra Veneto e Lombardia, dove correva il confine austro-ungarico, è interpretata da Eugenio Franceschini, Valentina Corti, Francesco Martino e Domenico Fortunato e co-sceneggiata dal regista e da Salvatore De Mola. “Avevo in mente Carlito’s Way – dice lo sceneggiatore – Volevo che fino all’ultimo lo spettatore potesse sperare che il protagonista non muore. Volevo che fosse una storia commovente”.
Anche, magari, per creare l’occasione di un approccio da parte dei giovani a una storiografia insegnata in maniera diversa, non nozionistica ma coinvolgente ed entusiasmante. In questo senso è particolarmente significativa una parte in cui si racconta di come l’ammiraglio Luigi Rizzo (detto “l’Affondatore” in seguito a questa impresa) riuscì a colpire e affondare l’immensa corazzata avversaria Santo Stefano usando solo due piccole imbarcazioni dotate di missili. Narrata come un film d’azione, quella sequenza, dice il regista: “viene dagli austriaci. Gli asburgici avevano organizzato una sortita in grande stile contro le difese del canale di Otranto e avevano chiamato una troupe da Vienna che, molto professionalmente, filmò la scena anche se rappresentava una sconfitta. Il filmato non sviluppato fu poi depositato a Pola e trovato dopo la guerra, per caso, dalla marina italiana, che decise di farne una fiction che, però, non usava attori ma i veri protagonisti della vicenda”. Il film celebra non solo i cento anni dall’inizio della Grande Guerra ma anche i novanta dalla fondazione dell’archivio Luce, che però, precisa il regista: “nel frattempo si è arricchito di materiali provenienti da ogni parte del mondo, tra donazioni e affidamenti. Nel mio film c’è anche materiale del reparto fotografico dell’esercito di Belgrado, repertorio serbo, l’archivio di Vienna e alcune sequenze tratte da Camicia nera di Giovacchino Forzano”.
Oltre che nei cinema, la pellicola si muoverà su un percorso già ben delineato. Il 24 maggio 2015, in occasione del centenario dall’entrata in guerra dell’Italia, andrà in onda in prima serata su Rai Uno, inoltre il 20 novembre sarà proiettato in 20 caserme italiane. E naturalmente si prospetta anche una serie di proiezioni nelle scuole: “Il film ha costituito la possibilità – chiude il direttore Archivio Storico, Cinema e Documentaristica dell’Istituto Luce Enrico Bufalini – di dare valore al nostro archivio e permettere agli italiani di accedere agevolmente ai suoi materiali. Nella stessa linea abbiamo stretto accordi con i maggiori player su Internet, perché questo materiale non resti confinato in teche e magazzini. Questa storia lo rende interessante attraverso un racconto che ci permette di ripercorrere i passi di una pagina triste e dolorosa della nostra nazione”.
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