Colpisce vedere a breve distanza lo stesso volto glaciale del film Il capitale umano distendersi in sorrisi da buontempone in Noi 4 di Francesco Bruni – dal 20 marzo in sala – libero da cravatta e cinismo, pronto a scarrozzare i figli in perenne ritardo (esistenziale) nella giungla metropolitana romana. Parliamo di Fabrizio Gifuni, interprete di spessore che da sempre fa della versatilità il perno della sua carriera, malgrado quella “strana tendenza all’incasellamento” propria del cinema italiano lo abbia spesso limitato a ruoli drammatici. “Aspettavo con impazienza una commedia: interpretare un cialtrone che sa alleggerire ogni situazione e scaricare le nevrosi a cui tutti siamo abitati è stato liberatorio”. Partiamo da questa sua dichiarazione per entrare nel merito di un percorso artistico teso ad approfondire tematiche serissime (la giustizia, prossimamente a teatro) come a giocare tra schermo e palcoscenico.
Paolo Virzì e Francesco Bruni: ci racconta il diverso approccio sul set?
Virzì è un maestro del cinema italiano con alle spalle un numero considerevole di film straordinari, Bruni un regista giovane, al suo secondo film dopo Scialla!, e con entrambi prima de Il capitale umano (diretto dal primo, scritto anche dal secondo, ndr) non avevo mai lavorato. Credo che ogni regista cambi molto a seconda del racconto del film: Virzì affrontava una grande scommessa, incamminandosi su un sentiero mai percorso prima, era anche per lui una prima volta. Il suo set era molto complesso, la narrazione aveva una costruzione su piani diversi, molti ambienti, richiedeva un lavoro e una scansione temporale complicata, mentre Noi 4 è un racconto che si svolge nell’unità di 24 ore, più lineare. Quello che lega Bruni e Virzì è una grande curiosità e un profondo amore per il lavoro dell’attore.
Quanto l’hanno lasciata libero di improvvisare, in questi due ruoli agli antipodi?
Entrambi hanno un forte rispetto verso una sceneggiatura su cui lavorano molto, ma non si lasciano condizionare dalla sacralità della scrittura: se, come spesso succede, sul set una battuta improvvisa funziona meglio e va verso la verità dei personaggi, la accolgono volentieri.
Ora la attende il set di “Tempo instabile con probabili schiarite” di Marco Pontecorvo, che dividerà con John Turturro.
Sì, anche quella è una commedia e sul set incontreremo anche Lillo e Carolina Crescentini. Iniziamo a girare verso maggio-giugno e l’idea di lavorare con Turturro, che ha appena finito di girare con Nanni Moretti, per me è motivo di grande curiosità e attrazione.
L’Italia ha appena vinto un Oscar, e c’è chi lo giudica un segnale positivo per la ripartenza del cinema italiano, e chi critica aspramente “La grande bellezza” (e il cinema italiano). Qual è il suo parere al riguardo?
Trovo sia un fatto da festeggiare con grande affetto e calore, un segnale positivo per la storia di Paolo Sorrentino, che ha fatto un percorso molto preciso e non è arrivato casualmente a quel risultato, ma anche per tutto il cinema italiano, che ha catalizzato su di sé lo sguardo degli altri. Detto questo, mi lascerei poco condizionare da avvenimenti molto positivi come questo, o negativi come gli incassi deludenti a mezza stagione, per tracciare facili riflessioni sullo stato di salute del cinema italiano: bisogna avere pazienza e giudicare a lunga distanza. Che bisogno c’è di commentare la crisi del cinema italiano ogni tre mesi?
Tempo fa mi parlò della voglia di dirigere lei stesso un film: a che punto è?
Ci sono state piccole prove di scrittura, per il momento però non è neanche all’orizzonte: troppi progetti da ideare, costruire, mi riservo il lusso di giocare da puro interprete per ora.
I progetti di cui parla sono teatrali?
Sì, sto preparando un lavoro teatrale sulla giustizia, ma come mi è successo per i precedenti lavori su Gadda e Pasolini mi occorre un lungo tempo di gestazione. Non potendo purtroppo più lavorare con l’amico Giuseppe Bertolucci, condivido questa nuova fatica con un gruppo teatrale, i Fanny & Alexander.
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