Un film on the road, un viaggio da Nord a Sud, da Torino a Reggio Calabria, in cerca di risposte a domande profonde, intime. Un viaggio in compagnia dell’altro per capire che cosa significa essere adulti, diventare genitori. Come il desiderio di paternità si coniuga con l’omosessualità. Che cosa è naturale e che cosa è contro natura?
Fabio Mollo in Il padre d’Italia, dal 9 marzo in sala con Good Films, prova con sincerità e partecipazione a sciogliere questi nodi esistenziali. Nel film Paolo e Mia, hanno appena superato i trent’anni, attraversano un momento cruciale della loro vita che li pone di fronte a scelte non più rinviabili.
Lui, senza genitori, si è lasciato alle spalle una lunga storia omosessuale di coppia spaventato dall’idea di creare una famiglia con figli. “Mia rappresenta per Paolo una parte della sua vita che non conosce. Sono gemelli nella paura, hanno bisogno di qualcuno, si riconoscono, e si donano all’altro per proteggersi”, spiega Luca Marinelli.
Lei, incinta di 6 mesi, senza un compagno, problematica ed eterna adolescente, vive alla giornata con intensità. Sono opposti ma si riconoscono simili, le solitudini si accoppiano. “Sono due estranei che si trovano davanti a un baratro e si riconoscono in modo quasi animale – dice Isabella Ragonese – Mia, squinternata e senza regole, scoprirà una persona buona che non le è capitato spesso d’incontrare”.
E’ lei a fare il primo passo, ad aggrapparsi a Paolo: “Non mi lasciare sola”. Comincia così il loro percorso emotivo che li porterà a scoprire che cosa vogliono per il futuro che li attende.
Mollo, anche nel suo esordio Il Sud è niente aveva toccato il tema della paternità?
L’avevo affrontato dal punto di vista della figlia, qui invece lo faccio da quello di genitore. In questo mio secondo lungometraggio di finzione ho voluto raccontare una generazione che smette di essere figlio e diventa padre nonostante la precarietà economica, professionale e anche emotiva. Paolo e Mia vivono questa precarietà in modo diverso.
Più esattamente come?
Lui vive in disparte come se non volesse mai essere felice, lei al contrario è un’esplosione di vitalità. Paolo si lascia contagiare e condurre in un viaggio che lo fa confrontare con la paternità che aveva fino ad allora rimosso e considerato contro natura. Finalmente Paolo è pronto ad accettarla.
Perché ha scelto Marinelli e Ragonese?
Ho sempre immaginato una storia racchiusa in due personaggi, costruita su due bravi attori. Ho pedinato a lungo Luca e Isabella. Prima delle riprese c’è stato un lavoro di preparazione di quasi un anno, un lavoro fondamentale per dare vita ai due protagonisti. Nulla era scontato sul set, ogni passaggio emotivo, ogni incontro sono stati discussi e se necessario modificati.
Quanto il viaggio di Mia e Paolo da Nord a Sud ha un valore metaforico?
Non è un caso che il film sia on the road, perché la stessa storia d’amore è sempre un viaggio. Più Mia e Paolo scendono verso sud più si spogliano, si tolgono una corazza, si lasciano andare alla vita che è più forte di quello che Paolo crede.
Quella sorta di coro matriarcale femminile nel quale s’imbattono Mia e Paolo nel corso del loro viaggio ha una funzione importante nel racconto.
E’ uno snodo narrativo decisivo per quanto accade poi ai protagonisti, ma non è un momento giudicante. Paolo e Mia si confrontano con la parte più intima. Lei si sente esclusa da questa sua famiglia tradizionale, lui invece vorrebbe farne parte, vorrebbe ora provare a costruirne una.
Lei ha inserito tra le musiche due brani famosi di Loredana Bertè: ‘Il mare d’inverno’ e ‘Non sono una signora’.
La Bertè è calabrese come il sottoscritto e nel film raggiungiamo Bagnara Calabra, città natale della cantante. E forte è il richiamo agli anni ’80, in alcuni costumi e nel colore, c’è molta elettronica.
Ci sono anche riferimenti filmici?
Una giornata particolare di Ettore Scola, film che mi ha fatto entrare al Centro sperimentale e Il ladro di bambini di Gianni Amelio. Questi riferimenti riecheggiano ma con uno sguardo europeo, contemporaneo.
E forse anche Xavier Dolan?
In verità sul set Luca e Isabella mi chiamavano talvolta Xaverio. Abbiamo visto alcuni suoi film. Stiamo parlando di un regista che lavora molto con gli attori come è avvenuto per Il padre d’Italia e nell’estetica e nella musica del mio film ci sono richiami a Laurence Anyways.
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