RIMINI – Nino Rota è stato sodale compagno musicale del cinema di Fellini, e la “loro” musica ha dato corpo a tanti amarcord sonori per il pubblico, pertanto l’arte delle note non poteva mancare nel compleanno dei 100 anni dalla sua nascita e il maestro Ezio Bosso, con la sua European Philarmonic Orchestra, fresca del proprio primo anno di vita, hanno portato a Rimini il loro “geniale” dono musicale.
Il vostro è un omaggio al genio Fellini, attraverso i geni della musica. Quali sono i criteri con cui ha scelto proprio certi autori e certe musiche per far sì che il tributo fosse massimamente celebrativo delle atmosfere tipicamente felliniane?
Tanti sono gli elementi, uno gli autori di cui disquisiva anche con il suo compositore di riferimento, il maestro Rota; l’altro è stato il presentare il concerto attraverso il primo concerto per tromba, per due trombe, strumento a Fellini molto caro, come sappiamo. Lo voleva sempre nelle colonne sonore. Poi un concetto: ho pensato che avrebbe dovuto molto ridere, Fellini; infatti, conoscendo e approfondendo la storia del Maestro, so che non amava le celebrazioni. Si parla tanto di estetica felliniana, però non si parla di ciò che lo ha reso il grande maestro che è, ovvero colui che ha dato un sogno italiano differente da tutti gli altri: l’estetica quella pura, quella filosofica, viene confusa con il grottesco, a mio avviso, invece Fellini è quello che ha portato l’Italia e il cinema italiano alla parte onirica, non era soltanto ‘spaghetti e mandolino’, ma ad una poetica molto più vasta, un paesaggio diverso, e che era anche d’invenzione, che non è cosa da poco, pari a quella di un Méliès, se vuoi. Questo è il filo conduttore che porta tutti questi maestri musicali – guardando a Vivaldi – a voler essere anche loro italiani: quasi un piccolo gioco, un piccolo circo, per cui anche qualsiasi regista americano avrebbe voluto essere italiano come Fellini, e così, in fondo, Mozart, Bach, avrebbero voluto essere come Vivaldi, lo imitavano, fino a Beethoven, che in una sinfonia si scrive in italiano, si fa chiamare Luigi Beethoven. E questo al Maestro Fellini avrebbe fatto molto ridere. Per le celebrazioni penso sempre a qualcosa immaginando che la persona sia in sala, per farla divertire, infatti per questa occasione, tra i musicisti, sul palco, ci sono anche i miei cani.
Una cosa molto buffa e commovente, forse è la prima volta che i suoi cani stanno sul palco.
Alle prove sempre. Al concerto no, ma per questa occasione i basset hound Blu e Tobia sono bravissimi (poi c’è anche Ragout, lui però canterebbe con l’orchestra), ma a tante persone possono dar fastidio, e comunque ci sono dei rituali da seguire, ma per Fellini mi sembrava che, d’accordo con i tecnici, potessero stare sul palco. Sempre pensando che questa modalità di festeggiamento lo avrebbe fatto molto ridere, facendogli dimenticare la celebrazione.
Pensando alle scelte musicali di Fellini nei suoi film, rintraccia qualcosa di ricorrente che possa essere definito ‘felliniano’ da un punto di vista sonoro, tanto quanto quello visivo/narrativo?
Sì, credo soprattutto nel periodo in cui ha lavorato con Bacalov e Piovani, quando rimane in qualche modo orfano di Rota, e li spinge così a migliorarsi molto, li spinge ad un’orchestrazione più raffinata, pur perpetrando il desiderio di semplicità della musica: questa è la cosa che lo contraddistingue di più. Devo ammettere che conosco molto meglio le partiture di Rota, che quelle successive, anche perché credo che la musica di Fellini sia da identificare nelle sue grandi partiture: è riuscito a mischiare il suo lavoro di compositore di musica da concerto al mondo della cinematografia, restandone persino, se vogliamo, imprigionato, al contrario di Bacalov e Piovani, che invece sono dei veri e propri uomini di cinema.
C’è un autore, o un brano, tra quelli da lei scelti per il concerto, che immagina… Federico Fellini avrebbe prediletto e magari scelto per un suo film?
Sì, sono convinto la Marcia Funebre dell’Eroica, e anche l’ultimo movimento, un tema che ricorda anche Rota, che riporta al tema del circo, del prendersi in giro continuamente: le marce alla turca, e anche la profondità e il suono dell’adagio della Marcia, sono convinto siano qualcosa che c’è stato per loro.
Un titolo iconico di Fellini: Amarcord. Lei, maestro Bosso, ha un personale ‘amarcord’?
È difficile, perché ne ho talmente tanti, e sono soprattutto quelli di ragazzino. Ho Rimini nel mio amarcord di sedicenne che scappava qui per andare a vedere la spiaggia.
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