TROPEA – La cittadina della Costa degli Dei, abituata all’andamento ondivago del suo mare smeraldo, s’è imbattuta in uno sfidante incontro, in cui il “movimento ondulatorio” non era quello dell’acqua salata ma del cinema italiano indipendente: il Tropea Film Festival ha portato all’attenzione “lo strano caso” – forse nemmeno troppo – di Promessa d’amore, film del 2004, diretto da Ugo Fabrizio Giordani e interpretato da Ettore Bassi, ospiti della manifestazione cinematografica.
Promessa d’amore, “un prodotto di qualità, che ha avuto una gestazione particolare, con traversie tipiche del nostro sistema cinema”, così lo presenta il giornalista Paolo Di Giannantonio, moderatore dell’incontro, marcando in effetti il profilo in cui l’opera si cristallizza.
Ettore Bassi ce lo racconta, tra il 2004 e… 18 anni dopo.
La premessa alla vicenda, però, la narra Giordani, che spiega: “Nel 2004 scriviamo il film e otteniamo i finanziamenti del Ministero. Il film fu prodotto da un produttore giovanissimo, Enrico Molé. Il Ministero aveva concesso anche i soldi per la distribuzione: quell’anno, misteriosamente, tutti i film che li avevano ottenuti rimasero senza questa parte di contributo e così non poterono uscire in sala. Il nostro produttore – avvocato, figlio di avvocato – fece causa al Ministero: il film fu condannato a rimanere bloccato per via del contenzioso. Così cominciò un limbo, in cui del film si persero anche un po’ le tracce, perché avrebbe dovuto essere lavorato allo Sviluppo e Stampa di Cinecittà, ma la vicenda fermò tutto. Succede che, dopo anni, incontro una persona che mi spiega come un film con finanziamento pubblico debba essere distribuito, la clausola però è che sia finito nell’anno in corso… Quindi, richiamo i miei amici attori – nel cast Ettore Bassi, Chiara Conti, Catherine Spaak, Tony Musante, Luca Angeletti, Antonia Liskova – e giriamo il finale 18 anni dopo. Rai Movie lo manda in onda”, e il Tropea Film Festival l’ha riproposto intanto su grande schermo.
Ettore, cosa si può dire ci sia di incredibile e cosa di assurdo in questa vicenda, naturalmente riflettendo rispetto al sistema del nostro cinema?
Succede, a volte, ci siano dei meccanismi imperscrutabili, di difficile interpretazione: è vero che, magari, un’azione legale possa pregiudicare anche il destino di un progetto, però, insomma, dispiace pensare che comunque l’impegno, e anche l’investimento, l’energia tutta che si mette in un progetto, possano non trovare una realizzazione finale.
Dal suo punto di vista di attore, artisticamente, emotivamente, l’ha segnata questa vicenda di sospensione e il tornare sullo ‘stesso’ set quasi 20 anni dopo? Nostalgia? Rammarico? Speranza?
Il ritornare sul set dopo quasi vent’anni è stata una sfida quasi paradossale, per me è stato assurdo, ed è anche difficile da ricollocare: riprendere le ‘sembianze’, l’attitudine del personaggio, il modo di fare, oltra alla cosa strana di rivedermi oggi, e osservare come, in realtà, sia e mi veda cambiato.
Come si vede cambiato? Forse maturato?
Nel modo di recitare, in una consapevolezza che allora era molto più istintiva: oggi, dopo tanti anni di lavoro, ha un peso diverso l’uso della parola, l’uso del corpo, quegli aspetti che con il tempo elabori un po’ di più. Quindi è impressionante, sì, ma è anche bello, perché mi restituisce l’idea che il tempo, per me, sia servito a qualcosa.
Chi non fa l’attore per mestiere spesso ricorre all’idea che vi ‘caliate’ sempre, e ogni volta, nei panni del personaggio: in questo caso com’è andata, e com’è andata tornarci ‘dentro’ dopo così tanto tempo?
Non ho usato un metodo, ho riguardato il film e ho provato a ritornare dentro a quella situazione, anche appoggiato alla spalla di Luca Angeletti, col quale sapevo di aver creato un rapporto nel film, quindi sono partito da quello. È stato un esperimento interessante.
Parliamo di serie. Lei è stato tra i pionieri, almeno come interprete, della serialità contemporanea, sin da I ragazzi del muretto. Cosa era innovativo in quel momento? Cosa è rimasto una costante? Cosa si è perso? Cosa si è guadagnato?
La domande è difficile. Quella serialità aveva di buono che erano racconti che si avvicinavano alla gente, alle storie e alla realtà, anche di provincia, e avere una serialità significava affezionare le persone e dar loro un appuntamento a cui riferirsi. C’erano naturalmente già stati i grandi sceneggiati televisivi, ma quelle nuove serie cominciavano l’industrializzazione di quella narrazione. Di bello avevano quello che aveva la società dell’epoca, diversamente da oggi, quindi c’era dell’innocenza in più, che in quelle serie si percepiva, penso a Carabinieri o appunto a I ragazzi del muretto.
Si è persa, quindi, l’innocenza?
Si è persa l’innocenza.
E cosa s’è guadagnato, se s’è guadagnato qualcosa?
Non so se sia un guadagno, ma sicuramente c’è una volontà di catalizzare in modo forte l’attenzione, quindi si usa un linguaggio estremamente veloce, estremamente accattivante di colori, suoni, il tutto per cercare di catturare il più possibile l’attenzione.
Il suo presente, a teatro, è Il mercante di luce, monologo dal libro di Roberto Vecchioni: lei riconosce la ‘verità’ del teatro. Quindi il cinema è più bugia, e forse anche per questo il pubblico, post pandemia, ha riempito i teatri e meno le sale?
La verità del teatro è quella che c’è nel rapporto diretto attore-pubblico, quindi nell’immediatezza di scambio che si crea anche durante la rappresentazione, è la verità di ciò che si vede, si fa, si vive: è tutto lì… Questa verità e questo linguaggio sono intramontabili: se il teatro esiste in questa forma da più di 5000 anni un motivo ci sarà; è l’unica forma che non abbia conosciuto contaminazione e mistificazioni. Questo è quello che ha riportato la gente a teatro dopo la pandemia, ed è anche il motivo per cui, durante la pandemia, non si sia riusciti a replicare il teatro non in presenza: si è tentato ma s’è visto subito non fosse una strada percorribile, e quindi il teatro in questo senso è stato dapprima danneggiato moltissimo. Il cinema ha subìto poi… le conseguenze, per via delle piattaforme molto fruite in quel periodo.
Ettore, quali i progetti in corso e quali prossimi?
Sono in procinto di andare a Giffoni con un cortometraggio girato a Torino, con la Federazione Italiana Malattie Rare, che tra l’altro si collega, casualmente, con Il mercante di luce, che racconta la storia di un padre e di un figlio malato, di una sindrome rara appunto, che ho portato in scena quest’anno e che riprenderò l’anno prossimo. Poi, inizio la tournée di Trappola per topi di Agatha Christie, in tutta Italia. Ho ancora il mio Sindaco Pescatore – storia di Angelo Vassallo, sempre per il teatro -, a cui sono fedelissimo e che mi dà grandi soddisfazioni. E poi da qui, da Tropea, magari potrebbero nascere progetti.
Il direttore artistico, nella cerimonia di chiusura, ha annunciato l’accordo con il Sindaco per aprire una sala entro l’inverno. Tra i progetti, anche un film da Non chiamateli eroi di Gratteri e Nicaso: set previsto per dicembre
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