Cosa chiede un direttore di un festival alla critica? Qual è – se c’è – la differenza tra critica tradizionale e critica sul web? Internet è uno strumento di democrazia e diffusione del pensiero tutto luci e senza ombre o contribuisce a sdoganare l’idea che la critica non sia un mestiere (degno quindi di un’adeguata retribuzione) ma un’attività a latere? I social network possono rischiare di ridurre l’analisi e la decostruzione dell’oggetto filmico a like e dislike con atteggiamenti di tifo da stadio? E ancora: sono sempre ben chiari i confini tra esercizio del pensiero ed esigenze del marketing che quel pensiero amerebbero se non altro indirizzarlo? Come sono garantiti l’autonomia di giudizio e il diritto di stroncatura se i critici sono sottopagati, ricattabili, immediatamente sostituibili?
Di questo, e molto altro, si è parlato, a volte solo accennato, stamattina alla Casa del Cinema di Roma nella tavola rotonda “I festival e la critica nell’era digitale”, coordinata da Giovanni Spagnoletti e organizzata dall’Afic con i 100autori e il sostegno del MiBACT in ricordo di un grande saggista di cinema e critico militante come Alberto Farassino. Il dibattito è stato introdotto da Luca Mosso che ha ripercorso alcuni aspetti storici e teorici nella sua interessante relazione. “In 26 anni – ha esordito Mosso, organizzatore del milanese FilmMakerFest – è cambiato radicalmente il ruolo della critica. Questo non è più un mestiere, l’ultimo vero critico è stato Tullio Kezich, come ha detto una volta Tatti Sanguineti. La professione è in via di estinzione in un sistema cinema che tuttavia continua a produrre valore”.
Se forse è catastrofista dire che sia estinta del tutto, sicuramente ha subìto mutazioni così profonde, legate anche alla trasformazione di una società che tende a ridurre il cittadino a consumatore possibilmente manipolabile, da divenire quasi irriconoscibile rispetto al passato, quando la battaglia culturale anche in questo settore, trovava ampio spazio sui quotidiani ed era considerata cruciale. Oggi i quotidiani preferiscono affidarsi a una scrittura non specialistica, quando non al “colore” tout court, mentre blog e siti fanno la parte del leone dando uno spazio che altrimenti non avrebbero alle recensioni. Talvolta con nuove forme di informazione cinematografica (magari di taglio promozionale), mentre i social network ospitano spesso un frizzante botta e risposta più o meno qualificato influenzando però i comportamenti dei navigatori-spettatori.
“Recensioni e articoli non servono a richiamare il pubblico”, sottolinea Mosso citando il caso di un articolo sul ‘Corriere della sera’ che portò in sala a Milano solo 8 spettatori a incontrare un regista hongkonghese arrivato all’ultimo momento. Ed è recente la polemica innescata da The Space contro i critici, “residuali” rispetto all’enorme successo di Checco Zalone (di cui pure in molti, peraltro, avevano scritto favorevolmente). “Eppure i festival – prosegue Mosso – hanno bisogno degli articoli di giornale se non altro perché la rassegna stampa è una delle condizioni attraverso cui si ottengono finanziamenti dal ministero. Così si diffonde il costume delle media partnership, che considero una perversione del giornalismo perché ci porta dentro triangolazioni di cui neppure siamo totalmente consapevoli nel sistema attuale della comunicazione”. Interviene Piero Spila, vicepresidente del Sncci e parla addirittura di eutanasia della critica. “La critica è stata espropriata, è la grande assente da quel poco di dibattito culturale che c’è in questo paese. Sui siti vedo allievi indisciplinati ma non maestri geniali. Ma neppure è critica quella delle stellette, che dà lo stesso punteggio a Orson Welles e Ferzan Ozpetek. Del resto la carta stampata è entrata ancor più in crisi del cinema e si affermano per forza di cose le varie alternative: la rete innanzittutto, il documentario, i festival, l’home video, le tv satellitari”. Lo ricorda Ilaria Ravarino: “14 milioni di italiani ogni giorno navigano su internet. La critica, sfrattata dalle colonne dei giornali, se viene esercitata con professionalità, avrà spazio in rete”, mentre Maurizio De Bonis di cinecriticaweb parla di intelligenza collettiva di internet e Gabriele Niola di MyMovies sembra entusiasta dello stato delle cose, “chi ha anche una sola idea ha su internet la possibilità di esprimerla”.
Unico regista a intervenire, ma nel pomeriggio ci sono state altre relazioni, Francesco Bruni ritiene che ormai chi fa il cinema e chi ne scrive stiano dalla stessa parte della barricata in un sistema in crisi, povero, poco differenziato, con una monocultura della commedia intesa come film comico e aproblematico. “C’è una perdita drammatica del pubblico giovanile per il cinema di qualità, anche per film come La vita di Adele di Kechiche o Io e te di Bertolucci, che pure dovrebbero interessare i giovani. E noto una fruizione sprezzante del film, l’avvicinarsi a certo cinema per denigrarlo, per dire che è una cavolata, forse per non sentirsi inadeguato”. Il dibattito prosegue. A noi resta un fantasma: estinzione della critica o estinzione della coscienza critica in generale in un paese sempre più litigioso e superficiale?
Interverranno il regista e scrittore Pupi Avati; monsignor Dario Edoardo Viganò, sacerdote ambrosiano, vicecancelliere della Pontificia accademia delle scienze e delle scienze sociali e presidente della Fondazione Mac; Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà e Gianluca della Maggiore, professore presso l’Università telematica internazionale Uninettuno e direttore del Cast
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