C’è stato un momento in cui “Montedidio”, il suo libro sulla vita in un quartiere di Napoli negli anni del dopoguerra, stava per diventare un film di Francesca Comencini, ma Erri De Luca non è deluso dal fallimento del progetto. Tutt’altro: “Mi sono divertito a scrivere la sceneggiatura con Francesca, che conosco da quando è nata. La produzione non è mai decollata ma mi hanno pagato lo stesso”. Lo scrittore napoletano, ormai famoso anche all’estero, ha fatto altre incursioni nel mondo del cinema: giurato a Cannes, è stato attore, con un piccolo ruolo nell’opera prima di Costanza Quatriglio, L’isola. Cinecittànews gli ha fatto alcune domande sul rapporto tra cinema e letteratura.
I legami tra questi due mondi sono sempre stati stretti ma oggi i film tratti dai romanzi sono addirittura in crescita. Come vede l’osmosi tra le due arti?
In generale la vedo come qualcosa di negativo e parlo sia come lettore sia come spettatore. Per esempio un libro che mi ha stregato è “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Poi sono andato a vedere il film di Visconti e la faccia di Burt Lancaster si è definitivamente sovrapposta a quella del Principe di Salina nella mia immaginazione. Dopo il film nessun lettore può evitare quella faccia. Il cinema ha il potere di dare forma definitiva al modo di rappresentare una storia, mentre a molti lettori piace crearsi una propria immagine dei personaggi e degli ambienti del libro usando la fantasia. Ecco perché non ho mai acconsentito a cedere i diritti dei miei libri. Non è che mi abbiano sommerso di richieste, ma quelle poche volte ho preferito dire di no.
Però ha accettato di scrivere una sceneggiatura da un suo libro.
Sì, ho scritto una sceneggiatura con Francesca Comencini, perché è una persona che stimo molto e a cui voglio davvero bene. Mi ha chiesto di adattare la storia di “Montedidio” per il cinema. Abbiamo lavorato bene, con piacere, e ci hanno anche pagato, ma poi il copione è finito in un cassetto. Un’esperienza assolutamente positiva che vorrei ripetere! Comunque ho ancora i diritti, non si sa mai…
Cosa pensa invece del cinema che nasce da storie originali?
Mi piacciono i film ambientati negli spazi aperti, lontano dalle città, proprio perché vivo in mezzo al cemento e i paesaggi urbani non mi incuriosiscono più. Invece i film ambientati in campagna, in montagna, nelle grandi pianure, mi affascinano, Dersu Uzala di Akira Kurosawa ad esempio.
Che opinione ha del cinema italiano?
È stato un grande cinema, specialmente nel dopoguerra. Un cinema che ha dato a un paese che usciva dal fascismo, cioè da un regime dittatoriale che è stato anche una catastrofe sul piano umano, l’opportunità di conoscere se stesso. Agli italiani ha dato la possibilità di entrare in rapporto con tutte le fasce sociali e non solo con la classe media che fino ad allora era stata rappresentata dal cinema. I dialetti hanno trovato cittadinanza in un cinema che era realista, non neorealista ma realista. Insomma, il cinema italiano ha reso un enorme servizio alla nostra società. Un altro motivo di grandezza è l’approccio corale, collettivo. Non funziona chi fa tutto da solo, come un cantautore: scrive, dirige, interpreta. È una delle disgrazie del cinema perché è impossibile fare un buon film con questi presupposti.
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