ROMA – “Abbiamo tutti un’esperienza viscerale di ciò che sta accadendo, perché sta accadendo proprio ora. Il cambiamento climatico è un tema ricorrente al cinema proprio perché ci rendiamo conto che è uno dei problemi più seri della nostra epoca, una minaccia molto presente e molto urgente”. A Roma per incontrare i giornalisti in vista dell’uscita – il 1° novembre con Warner Bros – del disaster movie Geostorm, Gerard Butler prende di petto il tema del film e parla a lungo dei suoi molti agganci con la realtà. In un pianeta sull’orlo del collasso, i cui abitanti sono sempre più spesso vittime o testimoni di giganteschi disastri naturali, i governi di tutto il mondo hanno unito le forze per costruire una rete di satelliti – chiamata Dutch Boy – in grado di agire sul clima e contrastare le catastrofi ambientali. Ma, in quanto tale, anche una potenziale arma definitiva, se messa nelle mani sbagliate.
Nei panni di Jake Lawson, Butler è lo scienziato a capo del progetto, un uomo dalle grandi doti, “ma con una personalità singolare – come dice lo stesso attore scozzese – Un tipo fuori dagli schemi che scavalca la burocrazia pur di passare all’azione tempestivamente. La sua sfida è contenersi, imparare a lavorare con gli altri ed essere un padre e un fratello su cui contare”. Lawson, che “mostra i muscoli” anche dall’interno della tuta spaziale che deve indossare per salvare la situazione, deve infatti gestire il rapporto difficile con il fratello (Jim Sturgess), un funzionario di altissimo livello di cui deve eseguire gli ordini, con la figlia adolescente e con il team internazionale (di cui fa parte, tra gli altri, Alexandra Maria Lara) a cui impartisce indicazioni sulla stazione spaziale che governa il Dutch Boy. In questo scenario, il presidente degli Stati Uniti è Andy Garcia e il suo vice Ed Harris.
A chi gli chiede se Geostorm non sia un film politico, considerando che l’attuale presidente degli Usa sostiene che il cambiamento climatico sia una bufala, Butler risponde, con qualche imbarazzo, che “bisogna stare attenti a dare un’eccessiva valenza politica al film, ma è vero che è dura non arrivare a quella conclusione… Il film è stato concepito molto prima che Donald Trump si candidasse alla presidenza degli Stati Uniti e quindi anche che decidesse di uscire dall’accordo di Parigi. Tutte queste cose poi sono successe e hanno dato un valore politico a Geostorm, un film che di fatto dice che serve un’alleanza tra governi per affrontare il cambiamento climatico, che bisogna unirsi e non separarsi per porre rimedio a questa crisi. Tra l’altro – aggiunge – nella prima versione della sceneggiatura il film era ambientato nel 2030, poi abbiamo deciso di anticipare nel 2019 perché ci siamo resi conto che ciò che raccontavamo stava accadendo in un lasso di tempo notevolmente ridotto”.
Spesso protagonista di film di azione in cui deve salvare il mondo, o almeno il suo Paese, Gerard Butler racconta di aver appena girato Keepers, un thriller psicologico su tre guardiani di un faro: “Io interpreto un personaggio che gradualmente perde la testa – spiega – l’abbiamo girato in condizioni meteorologiche estreme ed è stato molto impegnativo. Uno dei motivi che mi hanno portato ad accettare questa sfida era la possibilità di lavorare con Peter Mullan, un attore straordinario”. Altre sfide che accetterebbe volentieri, rivela, sarebbero quelle lanciate da due registi italiani: “Adorerei girare in Italia, magari una serie tv o una trilogia di film, per poter stare qui a lungo. D’altra parte, appena fatti i primi passi qui a Roma, ho pensato ‘ma perché vivo a Los Angeles?’. Lavorare con Gabriele Muccino (in Quello che so sull’amore, NdR) è stata una grande esperienza, lui è un maestro dotato di gran talento e di una certa furia emotiva. E ho amato molto Youth e The Young Pope di Paolo Sorrentino. Se mi chiamassero a lavorare con loro non direi di no.
Anzi, sapete che vi dico? Sono un po’ deluso di non essere stato chiamato per interpretare Berlusconi. Voi ridete, ma sarei stato fantastico”.
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