“Quando mi hanno proposto di fare questo film, il mio pensiero è andato subito a mio padre che quando ero bambino mi raccontava la sua vita di soldato. Aveva 19 anni quando fu chiamato alle armi. Scelse l’Arma dei bersaglieri, battaglioni d’assalto, e si trovò dentro la carneficina del Carso e del Piave, che segnò la sua giovinezza e il resto della sua vita”. Ermanno Olmi, dall’ospedale San Raffaele di Milano, dove è ricoverato per una sospetta broncopolmonite, ha mandato un videomessaggio ai giornalisti. È dispiaciuto di non poter essere qui a Romaì, a rispondere alle tante domande su Torneranno i prati, l’opera che ha dedicato alla prima guerra mondiale, quasi un war requiem. Una trincea sepolta dalla neve sugli Altipiani nel 1917, alla vigilia di Caporetto. Italiani e austriaci tanto vicini da poter sentire quasi il respiro gli uni degli altri. Un ordine assurdo che manderà al macello altri uomini. Un ordine che arriva da lontano, dalle retrovie calde, un ordine a cui un ufficiale febbricitante ma consapevole non se la sente di obbedire, preferisce restituire i gradi. “Abbiamo compiuto un grande tradimento nei confronti di tutti quei giovani, milioni di persone che sono morte in quella guerra – prosegue Olmi – e non gli abbiamo mai spiegato perché sono morti. Ma coi morti e coi bambini non si può barare ed è ora di sciogliere questo nodo dell’ipocrisia e della vigliaccheria. Mi auguro che in questa celebrazione del centenario della Grande Guerra si trovi il momento di chiedere scusa. Come dice Camus, se vuoi che un pensiero cambi il mondo, prima devi cambiare te stesso”.
Il film, che uscirà nelle sale il 6 novembre con la 01 avrà una straordinaria anteprima il 4 novembre, anniversario dell’armistizio, quando sarà proiettato in 100 paesi nelle ambasciate, nei consolati e negli Istituti di Cultura, mentre a Roma lo vedrà il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Un film rivolto soprattutto ai ragazzi, come spiega uno dei giovani interpreti, Alessandro Sperduti, il tenentino al primo incarico che si trova sulle spalle il comando della pattuglia ormai decimata dalle granate. “Deve essere un film utile, deve essere visto in particolare dai ragazzi, per attualizzare qualcosa che ancora succede dopo 100 anni”. Per Claudio Santamaria, il maggiore che porta gli ordini del comando cercando di restare inflessibile, “Torneranno i prati non è un film sulla guerra, ma sul dolore della guerra. Ermanno è un illuminato, lavorare con lui è come lavorare col Dalai Lama. Sul set ci siamo tenuti su un filo di lana, lui voleva vedere degli esseri umani che stanno toccando qualcosa di molto intimo in loro stessi. Ci ha chiesto di essere aperti e consapevoli che potevamo morire da un momento all’altro”. Con lui gli altri attori: Francesco Formichetti, Andrea Di Maria, Camillo Grassi, Niccolò Senni.
Un set difficile, anche per le condizioni atmosferiche avverse, con nevicate eccezionali sull’Altipiano di Asiago. Lo raccontano i produttori, Elisabetta Olmi, Luigi Musini e Paolo Del Brocco per Rai Cinema (il film è costato 3 milioni e 200mila euro). Lo conferma Camillo Grassi, l’attendente: “Abbiamo lavorato in una situazione molto difficoltosa, eravamo anche noi un gruppo di soldati in trincea a 1.800 metri d’altezza e con 20° sottozero”. Ce lo mostrano le immagini di un backstage: scavare la trincea è stato davvero proibitivo. Ma Olmi non ha cercato il realismo. Piuttosto una visione mistica e allucinatoria, aiutata dalla fotografia decolorata di Fabio Olmi, dalle musiche di Paolo Fresu. “Il film è diviso in tre capitoli – spiega ancora il maestro – c’è l’abdicazione alle regole militari, perché alla vigilia di Caporetto le relazioni umane contano più dei gradi. Poi c’è l’apprendimento e infine l’allucinazione. Il racconto, fin dall’inizio, non è realistico ma evocativo, anche se i fatti raccontati sono veramente accaduti”.
Santamaria, che cita Emilio Lussu e Uomini contro di Rosi, ricorda come gli uomini, spesso giovanissimi, un’intera generazione macellata, venivano mandati a morire senza una strategia. “E’ giusto dire che il nemico non era quello di fronte, ma quello nelle retrovie”. Incalza il cineasta bergamasco: “I giovani, educati all’amor patrio, ci avevano creduto. Migliaia di soldati furono sacrificati all’arroganza delle alte aristocrazie dominanti. Tutti i conflitti hanno come presupposto il potere e la ricchezza per pochi e spero che questo film ce lo faccia capire. Che i nemici non sono quelli della trincea di fronte, ma quelli che ti hanno mandato a colpire altri uomini come te”. Ma nel film ci sono anche altri temi della sua poetica: l’interrogazione a un Dio che non si sa più dove sia, che non ha ascoltato neppure il figlio sulla croce; il rapporto mistico con la natura magnifica della montagna. Ed è la natura a sopravvivere, perché dove ora ci sono cadaveri, sangue e distruzione, un giorno torneranno i prati. “Mentre sei lì che uccidi, intorno la natura celebra la vita. Dove è morta tanta gente torneranno i pascoli”, chiosa Ermanno Olmi. Per Maurizio Zaccaro, suo collaboratore dal ’78: “Questa è la summa finale di un percorso, un film che valica le frontiere stesse del cinema, che porta su nuove strade narrative, lontano dall’omologazione”.
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