Eravamo io… la Cuba di oggi e Gianni Minà


VENEZIA – “Per poco non assistiamo al fallimento degli Stati Uniti, e quindi del capitalismo. Pensavamo che solo il comunismo potesse fallire, e invece in questa situazione di crisi mondiale Cuba, che per motivi storici non ha accettato le ricette americane, se la caverà con molti meno problemi di altri Stati occidentali”. L’analisi è di Gianni Minà , tra i più grandi esploratori, conoscitori e sostenitori dell’isola, che ha percorso per mille chilometri da L’Avana a Guantanamo per tracciare un quadro contemporaneo di uno dei luoghi politici più controversi del pianeta con Cuba nell’epoca di Obama. Lo ha fatto dopo l’uscita di scena di Fidel Castro e con un presidente Usa di origini africane, andando a cercare le voci nuove dei ragazzi che animano la scuola di medicina, quella di cinema e quella di balletto, parlando con i militari in servizio a Guantanamo e con gli studenti seduti sulle scalinate dell’università, figli e nipoti di una Rivoluzione con cui ora e sempre bisogna fare i conti, in positivo e in negativo. “Non dico che tutto ciò che fa Cuba sia accettabile – sostiene Minà – ha i suoi difetti come ogni paese, ma in confronto l’Italia ha perso di vista il fatto che la cultura dà la libertà, e testimonia la libertà”.

Il documentario fiume di Minà (oltre quattro ore totali) -celeberrima la sua intervista di 16 ore a Castro, “ma conosco meglio gli Stati Uniti, Cuba fa solo più clamore” – è passato alle Giornate degli Autori e in replica nello Spazio di Cinecittà all’Excelsior e in futuro, per ora, si sa solo che uscirà in America , perché “c’è un forte interessamento del distributore dei documentari di Michael Moore”, dice il regista, ma in Italia “è tutto inutile”, afferma sconsolato. Per realizzarlo ci sono voluti venti di giorni di viaggio e di riprese che hanno prodotto quasi cento ore di materiale da montare, anche perché, al di là dell’itinerario prestabilito, nulla era davvero preparato, “e si girava tutto”. Naturalmente qualsiasi racconto della Cuba di ieri e di oggi non può fare a meno di evocare, in modo più o meno diretto, il Lider Maximo: “L’ultima volta l’ho incontrato due anni fa – dice Minà – proprio mentre giravo questo documentario, e l’ho visto bene, compatibilmente con il fatto che è una persona anziana e ha subìto due operazioni difficili. Più recentemente, nella primavera scorsa, a trovarlo ci è andato Jimmy Carter, che ci ha passato un pomeriggio”.

Tra le immagini scorrono i volti dei giovani che ancora affollano il mausoleo di Che Guevara a Santa Clara e gli studenti della scuola d’arte di Bayamo, ma anche i ricordi dell’étoile della danza Alicia Alonso e le riflessioni di Abel Prieto, scrittore e ministro della cultura cubano. Una traversata curiosa e complicata perché spostarsi dentro il paese non è affatto facile che fa anche realizzare che Cuba è vicina ad Haiti, “e i cubani sono stati i primi ad andare ad aiutare dopo il terremoto, ma loro sono arrivati con i medici, gli americani con i marines”, ricorda Minà, secondo cui “tutte le previsioni sul crollo dell’isola sono state fasulle, il comunismo è morto venti anni fa ma Cuba c’è ancora”.

Giornalista e documentarista dallo stile e dalla voce inconfondibile, che è stato amico dei personaggi più in vista del pianeta, Gianni Minà è divertito dalla leggendaria imitazione di Fiorello: “Sono stato da lui cinque volte e mi piace che abbia fotografato il mio modo di essere: uno che sa mettere insieme le persone. Recentemente si è riparlato su un giornale di una foto in cui eravamo io, Robert De Niro, Sergio Leone, Cassius Clay e Gabriel Garcia Marquez“.

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09 Settembre 2011

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