Dal Veneto dell’omonimo romanzo di Massimo Carlotto alla Sardegna della comunità di recupero minorile “La collina”, scenario dell’opera seconda di Enrico Pau, in concorso al Giffoni Film Festival con Jimmy della collina, dopo essere stato in gara a Locarno 2006.
Prima il carcere, poi la comunità di recupero. Il suo film sembra prendere la forma di un romanzo di formazione. Qual è la storia?
Jimmy è un adolescente che approda all’interno di un carcere minorile perché gli mancano ancora pochi mesi a compiere diciott’anni. E’ un ragazzo affascinato più che dal crimine, da ciò che vi ruota attorno. Va con una prostituta la notte prima della rapina perché consigliato da un bandito più anziano, attivo a Milano negli anni ’70. Il film inizia come un’opera di genere ma piano piano la realtà entra a far parte del tessuto narrativo: il carcere, la comunità La Collina. Alcune storie che raccontiamo sono successe veramente. Spesso il film sfocia nell’onirico, sulle orme di quel Kusturica è solito dire: “I sogni entrano naturalmente nella realtà”.
Che tipo è Jimmy?
L’idea principale di Jimmy è sfidare gli altri e se stesso. Gioca a fare il piccolo criminale pensando di poter superare tutte le difficoltà della vita: il rifiuto della famiglia operaia da cui proviene, il rifiuto delle sicurezze piccolo borghesi. Usa il crimine come veicolo per sognare e ne rimane impigliato. Il finale è aperto con uno spazio rivolto al dubbio. Jimmy sintetizza tante storie di ragazzi che sono passati nel carcere minorile e che hanno vissuto l’esperienza del recupero all’interno della Collina. In questo luogo don Ettore Cannavera sperimenta il riscatto dei giovani carcerati, attraverso una responsabilizzazione, restituendo a loro la dignità del lavoro e delle relazioni umane. Per un anno e mezzo insieme alla cosceneggiatrice, Antonia Iaccarino, vincitrice del Premio Solinas, abbiamo frequentato il carcere e la comunità.
Chi interpreta Jimmy?
Il ruolo di Jimmy è stato affidato a Nicola Adamo. L’ho incontrato in un laboratorio teatrale e si è dimostrato da subito un ragazzo di grande intensità interpretativa. Il resto del cast ha qualcosa di incredibile. E’ difficile distinguere l’attore professionista rispetto a chi si trova a recitare per la prima volta. C’è poi la presenza di un personaggio femminile, Claudia, interpretata da Valentina Carnelutti e ispirata a un personaggio reale, un ragazzo che si chiama Antonio e che, scontata la pena, è rimasto alla Collina diventando uno dei collaboratori più stretti di don Ettore.
Com’è la colonna sonora del film?
Un ruolo importante è assegnato al suono curato da Riccardo Spagnol con il quale abbiamo cercato di riprodurre le sonorità proprie di ambienti come il carcere e la fabbrica. Per le musiche ho contattato un gruppo emergente del panorama rock cagliaritano, i Sikitikis, prodotti dai Subsonica.
Dietro il suo film c’è una vicenda produttiva fortunata.
Sì devo proprio confessarlo. La produzione è della X Film di Roma del giovanissimo Guido Servino. Abbiamo avuto una piccola quota dalla Regione Sardegna e da alcune istituzioni locali: il film è girato fra le città di Cagliari, Sarroch, Quartucciu, Serbania. Una parte consistente del budget è arrivata da una fondazione privata sarda, la Ope, una cooperativa di costruzioni formata anni fa in Sardegna da un gruppo di muratori. Nel tempo è diventata un’importante realtà imprenditoriale che investe anche nella cultura.
Sta già lavorando a un nuovo progetto?
Sì, si tratta di una storia legata alla mia formazione a teatro. Un road movie per raccontare, oggi, la storia di un gruppo di attori teatrali, ognuno con le proprie ansie e speranze, attraverso un’arte che per anni è stata il veicolo della cultura in Sardegna.
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