Elisa Wong, nata a Pechino, e cresciuta a Roma da quando aveva 5 anni, oggi ne ha 26. Ha iniziato a muovere i primi passi nella pubblicità, per poi approdare in tv e al cinema. È tra i giovani interpreti di Love Club, disponibile su Prime Video, serie in quattro episodi su un locale LGBTQIA+ di Milano che rischia di chiudere per problemi economici e dove le vite di Luz, Tim, Rose e Zhang, si sfiorano in un percorso che li vedrà affrontare le loro paure più grandi. Da maggio scorso è entrata anche a far parte della terza stagione di Doc-Nelle tue mani, fiction di successo di Rai1 con Luca Argentero. La vedremo a gennaio 2024, quando le nuove puntate andranno in onda, interpretare una dei tre nuovi specializzandi del fittizio Policlinico Ambrosiano di Milano, ognuno con la propria storia e il proprio percorso.
Elisa, come stai vivendo l’esperienza di Doc? E perché secondo te questa serie ha così tanto successo?
Sono entrata a far parte di una famiglia già formata e sono stata accolta in maniera calorosa. Passeremo tutta l’estate insieme, finendo di girare le nuove puntate a novembre. Credo che il suo successo sia dovuto al fatto che sa toccare le emozioni delle persone. Oltre a raccontare le vicende dei protagonisti, ogni puntata affronta storie diverse nelle quali il pubblico si può rivedere.
La medicina è una scienza che ti affascina?
Molto. Mi sarebbe piaciuto fare un percorso di studi diverso. Dopo il diploma, ero indecisa se studiare all’università economia o biologia. Mi ha sempre affasciato il corpo umano, ma non ho avuto modo di coltivare questa mia passione per una serie di motivi. Sarà per un’altra vita.
E l’amore per la recitazione com’è nato?
Ho studiato teatro da piccola. Ma ai tempi non ho pensato potesse diventare un lavoro. Da grande ho iniziato con le pubblicità, e poi tra un provino e l’altro mi sono capitati dei piccoli ruoli per dei film. La prima esperienza di set è stata in Una famiglia di Sebastiano Riso. E poi piano piano sono arrivati altri personaggi. Ogni esperienza, piccola o grande, è stata importante per me e ha contribuito a creare il percorso artistico che ho fatto fino ad ora.
Su Prime Video sei tra gli interpreti di Love Club. Che serie è?
Parla della comunità LGBTQIA+, affrontando quattro storie differenti che ruotano intorno a questo locale. Le storie rispecchiano in alcuni casi anche la vita degli attori che interpretano i personaggi. Io sono Yan, nipote di Zhang, il protagonista del quarto episodio, e cercherò di aiutare mio zio a dargli il coraggio di urlare al mondo la propria identità, senza avere vergogna e sostenendo ogni cosa che fa.
La serialità oggi sta dando molto spazio agli attori della tua generazione.
Credo sia un’ottima opportunità per noi, ma anche un prodotto che dà modo ai giovani di oggi di vedere raccontate storie che sentono vicine, e che affrontando tematiche importanti, come ad esempio fa Love Club.
Avverti che c’è concorrenza tra i giovani nel mondo dello spettacolo?
Non c’è solo tra colleghi, ma anche nella mia stessa comunità. Non ci sono molti ruoli per noi cinesi e quindi è più complicato ottenere una parte, anche perché ai provini si presenta anche chi non fa questo mestiere. Non ci sono molti attori cinesi in Italia. Io sono cresciuta qui senza una figura di riferimento. Mi sarebbe piaciuto averla, e spero le avranno le generazioni del futuro.
Da attrice italo-cinese senti ci siano ancora degli stereotipi legati alle tue origini?
Rispetto al passato avverto un cambio di rotta, c’è sicuramente una minore stereotipizzazione della nostra etnia. Prima sembrava che per la comunità cinese ci fossero solo ruoli come massaggiatrice o nel mondo della ristorazione. Mi è capitato di fare provini così e anche accettare personaggi che parlassero male l’italiano (l’accento di Elisa è impeccabile, ndr). In Doc, invece, interpreto una ragazza nata e cresciuta in Italia, di seconda generazione, che parla bene l’italiano.
Se potessi scegliere, con quali registi ti piacerebbe lavorare?
Christopher Nolan e Paolo Sorrentino sono due autori che mi piacciono molto. Ma sono sogni irrealizzabili, credo, soprattutto il primo.
(Photo Credit: Paolo Stucchi)
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