Elio Germano: “Il mio Berlinguer? Un uomo che ascoltava”

Apre la Festa di Roma 'Berlinguer La grande ambizione' di Andrea Segre con uno straordinario Elio Germano nel ruolo del segretario del PCI. E il 18 novembre il film sarà proiettato al Quirinale


Si intravedono anche Monica Vitti e Marcello Mastroianni ai funerali di Enrico Berlinguer, il segretario del PCI che è stato salutato da più di un milione di persone nel 1984, quando venne stroncato da un ictus a 62 anni. E c’è un’altra scena del film di Andrea Segre, Berlinguer La grande ambizione, in cui qualcuno gli chiede quale sia il suo film preferito, ma la risposta non arriva. Perché un attimo dopo un camion travolge l’auto su cui il politico stava viaggiando, durante una visita ufficiale in Bulgaria.

E’ quasi un documentario, con un grande lavoro di ricerca filologica, il film, che apre la 19ma Festa di Roma nella sezione Progressive Cinema. Lo strepitoso montaggio di Jacopo Quadri compone materiali di repertorio di grande bellezza (in particolare dell’AAMOD) e drammaturgia. Non siamo di fronte a un biopic tradizionale perché il ritratto del politico sassarese è anche un ritratto collettivo. Siamo negli anni cruciali che vanno dal 1973 al 1978, la fase della grande espansione elettorale del più grande partito comunista europeo, che raggiunge un terzo dell’elettorato, la fase del compromesso storico e delle prove di dialogo con la Democrazia Cristiana attraverso la figura di un altro grande mediatore come Aldo Moro, la stagione dei movimenti giovanili del ’77, infine gli anni di piombo, il rapimento di Moro, la linea della fermezza, sposata dallo stesso Pci (in una scena Berlinguer riunisce i suoi tre figli maggiori per annunciare che non dovranno mai trattare con i suoi rapitori, se dovesse toccare anche a lui).

Il film, che prende il titolo da una frase di Antonio Gramsci (“Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è indissolubile dal bene collettivo”) è appunto il ritratto di un’Italia dove molto si parla di politica, dove gli operai sono protagonisti e dove un segretario di partito è al servizio di tutti, anche a scapito della sua vita privata e dei suoi affetti. Sempre in viaggio, sempre con la sigaretta tra le dita. Il Pci di Berlinguer ha un milione e settecentomila iscritti e più di dodici milioni di elettori, lui pensa a un socialismo realizzabile democraticamente, osa criticare l’URSS di Breznev (“uno Stalin che ha le sopracciglia al posto dei baffi”), è inviso agli americani, anche ai democratici, ma non vuole uscire dalla Nato, sta cambiando il suo partito con le armi della dolcezza e dell’ascolto, cosa che Moro – teorico della pazienza – non riuscirà a fare. Dal 1973, quando scampa per miracolo all’attentato dei servizi bulgari, vediamo il compagno Enrico affrontare comizi, campagne elettorali, viaggi oltrecortina, il referendum sul divorzio, ma anche la ricerca di una banconota da 50mila lire nascosta in un libro di Rosa Luxemburg.

Elio Germano fa un lavoro non mimetico, fa parlare il corpo (esile e curvo, come di chi porta un grande peso, e lo vediamo spesso fare ginnastica in casa), Elena Radonicich è la moglie Letizia, Paolo Pierobon è un Andreotti lontano dalla vulgata e Roberto Citran un Aldo Moro a tratti sorprendente. Poi nel cast troviamo anche Andrea Pennacchi, Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi, Francesco Acquaroli, Fabrizia Sacchi (Nilde Iotti) tutti intonati ai ruoli.

“Mentre ero sul set di Welcome Venice – racconta Andrea Segre, 48enne di Dolo, autore di film come Io sono Li e L’ordine delle cose – ho letto libro di Piero Ruzzante, Eppure il vento soffia ancora, sugli ultimi giorni di Berlinguer. Marco Pettenello, il co-sceneggiatore, lo aveva avuto anche lui da Ruzzante, politico padovano. Così quando ci siamo confrontati mi ha detto subito di sì. La storia di Berlinguer è un pezzo importante della storia italiana, ma qual era il momento chiave da raccontare? Abbiamo deciso di circoscrivere ad alcuni anni, dal 1973, con il colpo di Stato in Cile, al ’78, con il rapimento di Moro. Furono anni di tensione in un mondo diviso in due in cui l’Italia aveva il più grande Partito comunista dell’Occidente”.

Subito è arrivata anche l’idea di unire repertorio e messinscena. “Ero consapevole dei rischi – spiega ancora Segre – significava interrompere il flusso, sul confine tra verità e finzione. Ma il lavoro enorme degli archivisti e di Jacopo Quadri e Chiara Russo per il montaggio ha permesso di evitarlo, un nostro modello è stato Milk di Gus Van Sant per l’uso del repertorio sia didascalico che poetico”.

Elio Germano parla di una ricostruzione non esteriore ma con un profondo rispetto della storia e l’attenzione a non forzare le cose. “Tutti i personaggi sono stati caratterizzati ma solo con qualche dettaglio – dice l’attore romano – abbiamo voluto approfondire le questioni di cui erano portatori quegli intellettuali. E poi credo molto nel linguaggio inconsapevole dei corpi e la prossemica di Berlinguer raccontava un senso di inadeguatezza, di fatica, il peso della responsabilità, la mancanza di attenzione per l’esteriorità. Il suo corpo è stato per me una fonte di ispirazione”.

Sul parallelo tra la politica di allora e il presente, Elio Germano avverte: “Non solo i politici di oggi sono diversi, lo siamo tutti, c’è stata una deriva della società che ci ha portato a negare la dimensione collettiva, siamo in competizione e questo si esprime nei posti di lavoro a qualsiasi livello”.

Lo sceneggiatore Marco Pettenello racconta: “Sono del ’73 e la prima volta che ho visto un adulto piangere è stato per i funerali di Berlinguer. Ci sono due biografie importanti su di lui, poi abbiamo letto i resoconti stenografici delle riunioni del Partito conservati all’Istituto Gramsci, abbiamo visto gli appunti di suo pugno. Quindi abbiamo intervistato una cinquantina di persone, i figli, i parenti, la scorta, i compagni del partito, sia quelli anziani come Tortorella, Cervetti e Alfonsina Rinaldi, sia i più giovani come D’Alema e Bassolino. C’era sempre un momento in cui qualcuno si commuoveva, non è mai uscito un commento negativo su di lui. E un personaggio senza difetti può essere un problema drammaturgico”.

Ma Berlinguer – che è stato raccontato al cinema in vari documentari, tra cui quello di Walter Veltroni – non ne esce beatificato. Segre mantiene sempre l’equilibrio con la dimensione collettiva, dà molto spazio ai compagni, i consigli di fabbrica, le sezioni del Partito, ma anche le scene di vita familiare.

Una grande illusione più che una grande ambizione? chiede qualcuno. “Non direi, quella stagione ha prodotto risultati importanti nella storia d’Italia. L’incontro tra il Pci e la Dc ha favorito riforme importanti come la sanità pubblica. Nel titolo del film sottolineo la parola ‘grande’, che per Gramsci significa non solo mio ma di tutti. E’ una dimensione dell’agire sociale e politico che si è persa o viene articolata in altri modi. Nella destra di oggi c’è una grande ambizione, mentre la sinistra è più disorientata per le sconfitte storiche che ha subìto”.

Interviene Elio Germano: “Non ci siamo mai interrogati sui riferimenti alla politica contemporanea. La grande ambizione permette una qualità della vita migliore per tutti. L’alternativa al carrierismo è mettersi a disposizione della comunità. Spero che questo film possa portare qualche elemento di critica e di discussione. Ma non credo che fosse illusione perché quella visione traccia un modo diverso di agire, esattamente come è scritto nella nostra Costituzione. La felicità non è prodotta dalla gara, perché si sta meglio, si vive meglio, dove si condivide”.

Roberto Citran ha affrontato un personaggio molto raccontato al cinema, con le punte straordinarie di Fabrizio Gifuni o Roberto Herlitzka. “Ero spaventato – ammette l’attore – perché ci sono state interpretazioni eccellenti. Ricordo perfettamente il rapimento di Moro e la sua uccisione, è stato un momento di sgomento e smarrimento. Quella mattina del 1978 incontrai Carlo Mazzacurati e mi disse vedrai cosa succede adesso. E’ vero, qualcosa si è spaccato. Per prepararmi ho ascoltato i suoi discorsi, ma non volevo imitarlo. Volevo offrire l’immagine di un uomo forte che si assume la responsabilità delle scelte nel suo partito, dove non era amato da tutti. È esistito un Moro stratega che sovrappongo all’immagine di lui sofferente sotto la stella delle BR”. Mentre Paolo Pierobon parla del suo Andreotti come di un personaggio “onirico”.

Infine Elio Germano: “Oggi si parla di leader, ma siamo sicuri che siano la risposta? Lui era il segretario, non il leader. Era un uomo che stava molto in silenzio, ascoltava e desumeva. Faceva una fatica quasi cristica nel mettersi a disposizione degli altri e sentiva il senso di responsabilità verso il popolo che rappresentava. Trovare l’unità, in quella modalità assembleare, era sempre impegnativo”.

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella vedrà il film, che sarà proiettato il 18 novembre al Quirinale con la famiglia Berlinguer e il cast, come ha rivelato Salvo Nastasi, presidente della Fondazione Cinema per Roma.

Prodotto da Vivo film e Jolefilm con Rai Cinema, in coproduzione con Tarantula (Belgio) e Agitprop (Bulgaria) con le musiche originali di Iosonouncane, Berlinguer La grande ambizione arriverà nelle sale il 31 ottobre distribuito da Lucky Red.

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16 Ottobre 2024

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