“Siamo in un paese dove cinema, teatri, musei, opere liriche, monumenti e bellezze naturali basterebbero da sole per campare per sempre senza far niente. E invece l’arte e la cultura vengono messe in ginocchio. Il cinema italiano non ha il sostegno che meriterebbe, specie per i debuttanti che dovrebbero creare il nuovo cinema”. Così Ferzan Ozpetek che ha girato le scene finali del suo Magnifica presenza proprio in un luogo storico e simbolico di quella cultura italiana spesso vilipesa, il Teatro Valle di Roma da alcuni mesi occupato dalla protesta degli artisti.
Artisti, ma d’altri tempi, sono anche le “presenze” di questo film che lo stesso regista definisce “il mio più complesso perché vi si mescolano divertimento, lacrime e dramma come nella vita”. Storia contemporanea che sconfina negli anni ’40, gli anni della guerra e dell’occupazione nazista, e che per molti versi richiama il precedente La finestra di fronte. Ed è Anna Proclemer, grande signora del teatro, a evocare con la sua sola “presenza”, un mondo letterario e in parte perduto che solo il giovane protagonista Pietro, con la sua ingenuità di provinciale sensibile e sfortunato in amore riesce a vedere.
Pietro (Elio Germano) arriva a Roma dalla Sicilia per fare l’attore. Divide l’appartamento con la cugina mangiauomini
(Paola Minaccioni) e sogna ancora il ragazzo con cui ha passato una fugace mezz’ora d’amore tre anni prima. Un giorno prende in affitto un appartamento a Monteverde, una casa bella e fané di cui si innamora a prima vista…. Ebbene, la casa è stregata, abitata da una compagnia di attori e fantasisti scomparsi in circostanze misteriose nel ’43 proprio mentre stavano per andare in scena. Dapprima spaventato a morte, Pietro farà amicizia con gli spiriti, diviso tra la freddezza spiccia del mondo contemporaneo e le atmosfere eleganti e sensuali d’antan. “Tutto è nato dal racconto di un amico – spiega Ferzan – che diceva di vedere in casa una signora vestita di nero e una ragazza vestita di bianco. Gli amici pensavano che fosse pazzo o troppo solo. Poi venne fuori che forse erano una mamma e una figlia che si erano buttate dalla finestra durante i bombardamenti ai tempi della guerra. Siccome anch’io ho in casa una stanza segreta ho cominciato a fantasticare su questo tema”.
La guerra, la persecuzione contro il diverso – ebreo o dissidente – tornano anche nell’oggi con il pestaggio di un trans con cui Pietro fa amicizia e che lo porta poi in un laboratorio di modisteria gestito da Platinette. E’ il versante almodovariano del film, più evidente e scontato. Ma c’è anche un legame con Pirandello. “Con la sceneggiatrice, Federica Pontremoli, abbiamo pensato ai Sei personaggi in cerca d’autore, per l’intreccio di finzione e realtà. Così è nata anche l’idea della compagnia teatrale di fantasmi che prende il tram, l’otto, e arriva di notte al Teatro Valle, un teatro che si è conservato perfettamente e dove Pirandello ha davvero messo in scena proprio i Sei personaggi“.
E il titolo al singolare? “E’ vero, doveva essere al plurale, ma è sembrato banale e invece così allude a Pietro che per gli spettri è davvero una ‘magnifica presenza’. Mi sono innamorato di Elio Germano, perché è un puro, amo la sua innocenza contadina e il suo talento. Il suo primo piano quando guarda lo spettacolo a teatro durava cinque minuti e mezzo in cui rideva, piangeva e ci faceva vedere lo spettacolo e faceva sembrare che la sala fosse piena di spettatori… Ha la capacità di aprire gli occhi dopo due minuti e avere lo sguardo di uno che ha dormito otto ore”.
Per l’attore, premiato a Cannes per La nostra vita, “Pietro ha l’orgoglio della debolezza, della fragilità e della diversità. Noi tutti siamo portati a nascondere le nostre emozioni, tendiamo a indossare delle maschere. Ma Pietro non è una persona smaliziata, è abituato a stare solo, a coltivare le sue passioni”.
Nel film, prodotto da Domenico Procacci – come il precedente Mine vaganti – insieme a Rai Cinema e Intesa Sanpaolo, Margherita Buy, Beppe Fiorello, Vittoria Puccini, Claudia Potenza, Andrea Bosca, Ambrogio Maestri, Cem Yilmaz e il bambino Matteo Savino sono i fascinosi fantasmi, sempre vestiti e truccati alla perfezione, ispirati a divi come Rodolfo Valentino e Greta Garbo.
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