Una storia famigliare, un thriller, un riscatto femminile: Vivi e lascia vivere, da un’idea di Monica Rametta e Pappi Corsicato, che ha anche diretto la serie tv, una narrazione multistrato, fatta di livelli paralleli, con al centro il profilo volitivo di una madre di famiglia, di una moglie “che porta i pantaloni”, di una lavoratrice indefessa per poter tener saldo ciascuno dei propri ruoli, per affrontare perdita, cambiamento e costruzione della felicità, colonne portanti della trama. Non senza un altro colpo di scena, dal passato, che risponde al nome di Toni Romani (Massimo Ghini), imprenditore di immobili di lusso.
Una bella signora, con scuri occhiali da sole, abbigliamento informale, seduta su un aereo in atterraggio all’aereoporto di Napoli, ninnola e coccola, tra le dita, due fedi nuziali: seppur nascosta dietro le grandi lenti scure, si coglie di lei un’espressione seria, pensierosa, contrita. È Laura, Elena Sofia Ricci, cuoca in una mensa e tre figli adolescenti che più differenti tra loro non potrebbero essere – Giada, Nina e Giovanni – e un dramma da comunicargli: il loro papà Renato (Antonio Geraci), usualmente imbarcato sulle navi come musicista, “non esiste più”, è scoppiata una bombola di gas a Tenerife. Eppure lui, due settimane prima, le aveva fatto una telefonata per accennarle a “dei problemi”, non spiegabili in quel momento: una conversazione di servizio, in cui le intimava di non chiamarlo!
“Vivi e lascia vivere, oltre a essere una serie family, è una serie in grado di farci riflettere sul fatto che bisogna essere capaci, anche quando un evento così devastante irrompe nelle nostre vite, di trovare il lato positivo. Volevo dare un po’ di gioia, far vedere un lato di Napoli che da molto tempo non si racconta più: i suoi colori, la sua luce, il suo splendore, quello che di fatto questo luogo è sempre stato, una città che cambia continuamente e che si muove. Lo stesso movimento ho cercato di mantenerlo nella regia: in gran parte ho girato con la macchina a mano, proprio per rendere più reali e vivaci i personaggi, le situazioni e i luoghi. Il personaggio di Elena Sofia Ricci è ispirato a quel tipo di donna che molti di noi hanno conosciuto nella vita o che abbiamo visto rappresentato in molti film. Donne dal carattere forte che non hanno paura di mostrare le loro fragilità anche a costo di mettere a repentaglio la propria condizione”, ha spiegato Pappi Corsicato, infatti “Vivi e lascia vivere parla del cambiamento che attraversa la vita e diventa un’occasione per guardarsi dentro, e con responsabilità e coraggio farne una leva di futuro”, ha dichiarato Tinni Andreatta, direttore di Rai Fiction.
Giada, un’empatica Silvia Mazzieri, vuole impegnarsi per ottenere una borsa di studio per un master a New York, Nina (Carlotta Antonelli) pratica furtarelli presso centri commerciali, e Giovanni (Giampiero De Concilio) è dedito alla sua attività di pallanuoto: esigenze differenti, spiriti che appartengono ciascuno al proprio mondo, ma necessariamente da rendere compatibile con quello della loro famiglia, in sostanza della madre, Laura. Viso sofferto e – al contempo – combattivo, ma intriso di bellezza e vissuto, per questo ruolo di resistenza e rinascita, a cui Elena Sofia Ricci dà un’intensa interpretazione.
Come ha lavorato per costruire un personaggio sfaccettato come Laura: al contempo madre, ma anche donna che s’è sentita umiliata, però parte di una trama narrativa noir, e che infine s’anima dello slancio di cambiare completamente il proprio orizzonte? Pappi Corsicato ha dichiarato di essersi ispirato a personaggi femminili come Filumena Marturano.
Pappi mi ha rivelato di essersi ispirato a lei, ma io non l’ho tenuta come riferimento: il soggetto m’era stato mandato da lui circa quattro anni fa, e ho aderito subito, sia per la sua mano originale, sia per la storia avvincente. È stato in un’intervista di metà riprese che mi ha confidato di Filumena Marturano, ma in realtà parlavamo spesso di madri come Penelope Cruz in Volver, un po’ più contemporanee: Laura di Filumena ha il carattere, la determinazione, però non c’entra con la storia. Piuttosto può somigliare, più di tutte, alla Mommy di Xavier Dolan, per alcuni aspetti: non possiamo fare a meno di avere nel nostro immaginario collettivo queste figure femminili di grande spirito, cosa che le accomuna tutte, così ho cercato di costruire una donna di carattere ma nel mio modo, facendola essere, sì, mamma tradizionale, ma nemmeno troppo, affettuosa, ma quanto basta; piuttosto è una mamma pragmatica, a tratti ruvida e sfrontata, che ama i propri figli profondamente ma che mette in pratica una serie di scelte pratiche forti, per cui li tratta da adulti. Laura non è una mamma dolce e bellina, che si mette a tavolino quando la figlia Giada le manifesta di voler andare a New York a studiare all’accademia del costume, piuttosto l’aggredisce, le dice: ‘bambina, hai sbagliato famiglia’, ma così la tratta da donna a donna e la chiama alla realtà. Laura è una donna moderna, quasi nordica, non ha molto della chioccia italiana che protegge, seppur pensi e cerchi di proteggere i figli dal dolore, ma commettendo naturalmente degli errori. È piuttosto una mamma pragmatica, ma un bell’esempio di energia, di come si possa trattare da adulti i propri figli anche in un momento drammatico, esattamente come quello che stiamo vivendo. La speranza della serie è anche comunicare che rimboccandosi un po’ le maniche, qualche volta, si può riuscire a rialzarsi, anche se non è facile dirlo in questo momento storico.
La collega cuoca Rosa (Bianca Nappi), la cognata Marilù (Iaia Forte), la figlia orfana del magistrato (Teresa Saponangelo): Laura ha una forza interiore che riesce a trasmettere anche a loro, riuscendo poi a costruire un soggetto femminile plurale.
Laura è un po’ ‘contagiosa’: il suo, un modo di essere anche un po’ fastidioso e ruvido, ‘un po’ stronza’, come le dice l’amica Rosa. E queste, sono quelle battute che mi permettono di lavorare sul mio personaggio, perché non mi concentro solo sulla mia parte, ma anche su quello che dicono gli altri, per creare il mio ruolo: questo suo atteggiamento da stronza ha qualcosa di sincero, al di là del segreto e delle rivelazioni che ci saranno poi nel corso della serie. C’è però una chiarezza nel suo modo di essere, un contatto con la parte più profonda di sé, l’es prepotente e sfacciato che esce fuori e contagia le altre: è un po’ una chiamata alle armi, quella che lei fa, sveglia Rosa dal suo torpore per esempio. Ciascuna possiede una dignità che non può permettere a nessuno di calpestare, in questo senso Laura è un po’ una capo popolo di anime, un po’ tutte disperate, e alcune di loro non l’hanno ancora capito, ed è proprio lei a far luce, mettendole dinnanzi al proprio specchio femminile, ma non femminista: siamo tutte madri, è una prerogativa delle donne, che si sia data o meno la vita, abbiamo inciso nella nostra catena del dna il potenziale energetico della spinta vitale, e per questo è anche una storia di riscatto femminile.
Ha lavorato (indirettamente) anche con sua figlia nella realtà, Emma Quartullo.
Non ci ho esattamente lavorato. Lei interpreta Laura da giovane, per cui o c’ero io o lei, sul set. Pappi e la produzione mi hanno chiamata per chiedermi se potesse fare un provino, mentre lei si stava laureando, venendo dalla danza e dalla musica, forse essendo più interessata alla regia, però essendo maggiorenne ho detto che poteva decidere. Ha fatto il provino, che è andato molto bene perché mi somiglia nell’aspetto ma, più che altro, mi somiglia nel modo di fare, riusciva a essere ruvida e graffiante come voleva Pappi, ed è riuscita così bene che quando mi hanno fatto sapere che l’avevano scelta, Pappi m’ha detto: ‘guarda che Emma ha fatto il provino benissimo, devi farti spiegare da lei come devi fare il personaggio!’.
Corsicato sceglie una fotografia con colori vivi e saturi, un po’ in contrasto con parte della trama della serie.
Pappi aveva il desiderio di una serie molto, molto colorata, in contrasto con alcuni aspetti della storia, e lì si percepisce lui che ha lavorato con Almodóvar, così anche io ho dovuto un po’ centrare bene il personaggio, per darle delle caratterizzazioni, perché non fosse simile a nessuno interpretato finora. Però è la mia sfida questa, e con lui è stato abbastanza facile perché piano piano l’abbiamo messa a fuoco, abbiamo aggiustato anche un po’ il tiro con la sceneggiatura, quindi Laura è un personaggio moderno, non proprio melò, lo si deduce dagli accessori allo smalto: i costumi hanno inciso tantissimo sulla serie, come il suo modo di incedere e camminare, che ha comportato uno studio e una scelta precisa, che spero possa attrarre. È molto bello il contrasto che Pappi ha voluto fortemente, tra alcuni aspetti cupi della storia e quelli più effervescenti: io non posso sopportare il tutto didascalico, e la storia, Laura, è tutto un po’ un Sartù.
È una serie che sembra subire la buona influenza della narrazione internazionale, mantenendo comunque una forte matrice italiana: sta cambiando la serialità della tv generalista italiana? È un modello più esportabile?
Penso la Rai stia facendo un lavoro eccezionale negli anni recenti, il target giovanile sta aumentando, anche per serie family come Che Dio ci aiuti. Per questa serie, come per Imma Tataranni o DOC, la Rai sta lavorando molto bene per allinearsi alla concorrenza delle piattaforme, credo non si possa farne a meno: i giovani sono abituati ad un linguaggio più rapido e graffiante; deve rimanere, certo, la tv che accontenta il pubblico classico di Rai Uno, ma pur spingendosi in avanti con modernità e rinnovamento.
Vivi e lascia vivere è il titolo ma anche un pensiero molto attuale e di speranza, sostenuto da lei anche con testimonianze social e tv: qual è il futuro che attende lo spettacolo dopo questo momento di pandemia?
Quello che sarà dopo per lo spettacolo non si può sapere, ma siamo tutti abbastanza disperati perché pare abbastanza chiaro ed evidente che tutto riprenderà in regime di distanziamento sociale: l’ultima categoria che si rialzerà sarà la nostra, per noi è impossibile lavorare secondo questo regime, non solo gli attori debbono parlare vicino o fare scene d’amore, ma anche l’operatore di macchina con il suo assistente generalmente lavorano a 30 centimetri l’uno dall’altro, anche meno. Non riesco a immaginarmelo questo scenario. Forse dovremmo fare un film come il meraviglioso Effetto notte di Truffaut, mai forse ne è stato fatto uno dedicato veramente a come si lavori davvero dietro la macchina da presa. Cosa accadrà, da semplice attrice quale sono, non posso saperlo: ci rimettiamo alle indicazioni del Governo e dell’OMS, indubbiamente è la priorità, così come la necessità di dare ossigeno a tutte le categorie, anche se con amarezza registro che lo spettacolo – spesso – non viene contemplata, forse anche perché non c’è una risposta per noi.
La serie Vivi e lascia vivere è una co-produzione Rai Fiction e Bibi Film Tv: su Rai Uno, 6 prime serate, dal 23 aprile.
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