El barrilete, da Managua a Torino


El barrileteÈ un documentario italiano ma sembra un film iraniano El barrilete (L’aquilone), in concorso a Torino. Realizzato da Alessandro Angelini, fotografo e documentarista, segue le vicende del tredicenne Enrique dalla remota regione di Minas da India a Managua, una città caotica e poverissima, piena di contraddizioni, che potrebbe essere davvero Teheran e dove sono tanti i bambini e gli adolescenti che vivono nelle strade. Lì Enrique, che suo padre ha mandato via di casa perché quello che guadagnava lavorando alla raccolta del caffè o nelle miniere d’oro locali (la paga è di un dollaro per 14 ore) era appena sufficiente a comprargli qualcosa da mangiare, cerca un fratello maggiore con l’esile traccia di una foto e di un indirizzo che si rivelerà inutile. Porta con sé nello zaino un aquilone improvvisato, simbolo, dice il regista, del “diritto di giocare e di guardare verso il cielo per questi ragazzi cresciuti con la schiena chinata e schiavi della fatica quotidiana”.
A Managua Enrique fa amicizia con lo smaliziato Mario, pieno di vitalità e di coraggio, e riesce a scansare i molti pericoli del vagabondaggio trovando un minimo di solidarietà in una società che la rivoluzione sandinista del ’79, come spiega il regista, ha comunque segnato in positivo, ad esempio nell’atteggiamento “morbido” della polizia.
Il film, prodotto da Giorgio Gasparini con apporti della Provincia di Torino e della Comunità Europea, gode anche del patrocinio del Comune di Roma e di Amnesty International che l’ha “adottato” perché “affronta temi cruciali quali l’analfabetismo, la povertà e lo sfruttamento, l’infanzia negata” e che si adopererà perché sia visto il più possibile.
Per Angelini le tredici settimane di riprese in Nicaragua sono state l’ultima tappa di un lungo lavoro di preparazione iniziato nel 2002 con l’incontro con un altro minore, Sergio, nel frattempo troppo cresciuto. “Enrique è un bambino chiuso con un umorismo tutto suo, per questo mi è piaciuto”. E spiega la miscela di finzione e documento. “Ho lasciato tutto com’era nella realtà: gli oggetti, i giocattoli, gli amici, il combattimento dei galli che rappresenta un po’ il passaggio all’età adulta. L’intreccio tra documentario e finzione è stato costante, tanto che il finale è cambiato in modo inatteso quando Enrique ha detto che voleva assolutamente tornare a casa e ha anche suggerito come farlo, mentre l’amico Mario è scappato in lacrime all’idea di non rivederlo più”.

autore
17 Novembre 2005

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