I dieci giorni che sconvolsero la vita del regista Sergej Eisenstein, quelli trascorsi in Messico all’età di 33 anni, quando scoprì la propria omosessualità, sono raccontati da Peter Greenaway in Eisenstein in Messico, in concorso al Festival di Berlino e in sala dal 4 giugno con Teodora. Siamo nel 1931, quando il regista de La Corazzata Potemkin e Ottobre al vertice della sua carriera, si trova in Messico per girare un film. Qui spinto dal regime stalinista, che vorrebbe richiamarlo in patria quanto prima, un buffo, goffo, logorroico Eisenstein (Elmer Back) passa gli ultimi dieci giorni del suo viaggio nella cittadina di Guanajuato. Sarà qui, con la complicità della sua guida Palomino Cañedo (Luis Alberti), che scoprirà molte cose sul Messico, ma soprattutto su se stesso.
Greenaway non nasconde la sua grande passione per il regista di cui ha visto e rivisto le opere e di cui ha seguito le orme. Dalle parole a raffica di Eisenstein, escono, di volta in volta, riflessioni sulla Russia, sulla vita e ovviamente sulla morte che è davvero magica e unica in Messico. E nel film c’è anche l’iniziazione al sesso omosessuale da parte di Palomino Canedo. Nelle lettere alla segretaria Pera Atasheva, Eisenstein scriveva di quel viaggio: ”Proprio ora sono stato follemente innamorato per dieci giorni e ho avuto tutto quello che desideravo. Ciò avrà probabilmente enormi conseguenze psicologiche”.
Nel film anche gli incontri, realmente avvenuti, con Frida Kahlo, Cocteau e Brecht. ”Palomino Cañedo, guida messicana di Eisenstein e insegnante di religioni comparate, risponde alla curiosità del regista, e attraverso di lui impariamo il modo in cui i messicani hanno adattato il cristianesimo al loro stile di vita, la qualità della loro cucina, la rapacità della criminalità organizzata e lo stile alla Robin Hood dei folcloristici banditi locali che derubano gli stranieri – spiega Greenaway nelle sue note di regia -. Il rapporto profondo del Messico con la morte, che culmina nella Festa d’Ognissanti, bilancia le ossessioni di Eisenstein sul fervore rivoluzionario e presto il regista si ritrova a condividere con Cañedo la fascinazione per quel mondo, indossando la maschera da scheletro, imparando a ballare con uno scheletro e leccando un teschio di zucchero. Eisenstein – conclude il regista gallese de Il mistero dei giardini di Compton House – è arrivato a Guanajuato il 21 ottobre, il 25 cade l’anniversario della Rivoluzione Russa e il 31, quando il regista lascia la città, si celebra la Festa d’Ognissanti, o meglio Il Giorno dei Morti. Tale arco di tempo, in cui si svolge la sua storia d’amore, spinge Eisenstein a dire: ‘Questi sono i dieci giorni che sconvolsero Eisenstein. Sono dovuto venire in Messico per andare in paradiso”’.
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