“E’ una pura coincidenza che la Festa di Roma proponga come preapertura due film girati all’Asinara come La stoffa dei sogni e Era d’estate di Fiorella Infascelli”, scherza il direttore Antonio Monda durante la serata al Maxxi. Ma la coincidenza naturalmente non passa inosservata. L’isola-carcere, oggi disabitata, è diventata un set che unisce agli straordinari paesaggi incontaminati la particolarità degli edifici penitenziari grazie a un progetto della Fondazione Sardegna Film Commission che con il supporto della Conservatoria delle Coste e dell’Ente Parco Nazionale dell’Asinara – Area Marina Protetta “Isola dell’Asinara”, insieme all’Ente Foreste della Sardegna e al Comune di Porto Torres, ha proposto la location trovando risposta non solo nelle due produzioni citate ma anche, per ora, in un terzo lavoro, il cortometraggio di Roberto Carta Sinuaria. L’isola, come si sa, è stata sede storica del carcere di massima sicurezza fino al 1998 e dal 2002 è diventata parco nazionale, centro di ricerca e osservazione di flora e fauna, oasi naturale che anche il cinema ha rispettato grazie ai protocolli green applicati.
E se Era d’estate racconta la permanenza in questi luoghi, nel 1985, dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, isolati per motivi di sicurezza con le famiglie mentre scrivevano la maxi istruttoria per il processo alla mafia dell’anno successivo, La stoffa dei sogni, prodotto dalla Paco di Arturo Paglia e Isabella Cocuzza con il sostegno del MiBACT e di Rai Cinema, è un ambizioso e riuscito tentativo di rispecchiare gli straordinari ed eterni personaggi de La tempesta di William Shakespeare proprio nell’universo carcerario e isolano. Un terribile fortunale fa naufragare il postale e getta sull’isola alcuni strani naufraghi: una piccola compagnia di poveri attori e quattro camorristi che avrebbero dovuto scontare la pena in quel carcere. Mentre il direttore del penitenziario (Ennio Fantastichini), che ricorda lo scespiriano Prospero per le vicende personali e che infatti ha una figlia adolescente che si chiama proprio Miranda, fa cercare i naufraghi evasi, che sono armati e hanno ucciso un ufficiale nella notte, i criminali costringono i guitti a inserirli nella compagnia e sotto mentite spoglie si presentano sperando in una via di fuga dall’isola. Ma il direttore, che sospetta qualcosa, impone di allestire il dramma scespiriano, a cui viene data nuova linfa dalla scelta del capocomico di farlo recitare in napoletano per non far smascherare i banditi.
E qui entra in gioco il secondo elemento di ispirazione per il regista e lo sceneggiatore Ugo Chiti: L’arte della commedia di Eduardo, da cui il film prende a prestito il personaggio del capocomico Oreste Campese (affidato a Sergio Rubini) oltre che la splendida traduzione de La tempesta del drammaturgo napoletano. A Cabiddu (Disamistade, Il figlio di Bakunin, Faber in Sardegna) interessa il tema della libertà dell’attore e del teatro come strumento di liberazione (viene in mente anche Cesare deve morire dei Taviani), ma il regista, che con Eduardo collaborò all’epoca della traduzione nel raccogliere i testi nel dialetto antico, gioca anche a trovare le corrispondenze e i rispecchiamenti con un uso sapiente degli attori, tra cui, oltre ai citati Rubini e Fantastichini, Renato Carpentieri (l’anziano boss della camorra), Teresa Saponangelo (la moglie del capocomico), il Ciro Petrone di Gomorra (il giovane camorrista), il protagonista di Su re Fiorenzo Mattu (il pastore, una sorta di Calibano), mentre la presenza di Luca De Filippo è anche un omaggio alla nobile ascendenza eduardiana del testo. “Il mio intento – ha spiegato Cabiddu – è mostrare la necessità del teatro in una qualsiasi società, il rapporto realtà/finzione, la diversità, l’incomprensione, la vendetta e la grazia. Tutto questo a me, sardo e isolano, che ho avuto la fortuna di incontrare e lavorare per Eduardo, sembra più vicino”.
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