Non una macchietta, non una caricatura. Tutt’altro. Edoardo Pesce per Permette? Alberto Sordi dona l’essenza dell’attore romano, restituendo un’interpretazione sofisticata soprattutto per il grande studio e la conseguente messa in scena di dettagli mimici che “fanno” Alberto Sordi. Più d’una le inquadrature in cui s’esita a distinguere quello reale da quello “di Pesce”.
Ricorrono 100 anni dalla nascita di un’icona del cinema, Alberto Sordi, e il 24 febbraio si ricorda anche la scomparsa (2003), così la televisione e il cinema hanno scelto di tributare l’attore con un film diretto da Luca Manfredi che, per ovvi natali, ha vissuto l’uomo, e un certo momento del suo cinema, anche in prima persona. “Ho portato – nel film – sicuramente dei ricordi personali, avendo conosciuto Alberto da vicino. Abbiamo scelto di fare questo affettuoso omaggio con un racconto inedito, degli anni giovanili. Sordi, come mio padre Nino, rappresenta un patrimonio che rischia di essere dimenticato: un recente sondaggio tra i giovani, alla domanda ‘Chi è il nostro Albertone nazionale?’, ha registrato risposte come ‘Tomba o Angela’, e pochissimi hanno risposto ‘Sordi’. Credo sia missione del servizio pubblico tutelare questi artisti e la grande fatica fatta per diventare tali. Questi film sono sempre un’incombenza non facile per raccontare questi miti: Alberto era un uomo che ha dedicato la sua esistenza al lavoro, e lo sintetizza quel famoso ‘che mi metto un’estranea in casa?’, che disse a mio padre, io presente, rispetto al fatto che non si sposasse e non mettesse su famiglia. Per Pesce abbiamo tagliato i capelli e solo aggiunto una piccola protesi sul naso: ha fatto un lavoro di interpretazione portando Sordi a sé. Ho preferito avere un unico attore che, un po’ abbracciato dal trucco, incarnasse un arco di tempo dai 18 anni in poi, per circa 20, e in questo Edoardo è abbastanza camaleontico. È una scelta ovviamente individuale nelle biografie, e che io preferisco”.
Una biografia, quella messa in scena con Permette? Alberto Sordi, non prevedibile, sostanzialmente concentrata su un periodo meno “visto” del Sordi più popolare, quello che parte intorno ai suoi 17/18 anni, quando per sostenere le lezioni all’Accademia dei Filodrammatici di Milano – da cui viene cacciato per quella calata romana e quella faccia un po’ troppo tonda – lavorava come cameriere in un grande albergo meneghino, in cui spesso incontrava e “importunava” un già grande Vittorio De Sica. Conosciamo in questo racconto un Sordi famigliare, sono infatti peculiari protagonisti la mamma Maria – Paola Tiziana Cruciani e il papà Pietro – Giorgio Colangeli, quanto il fratello ingegnere Pino e le sorelle Savina e Aurelia, sua sodale per tutto il resto della vita. Conosciamo anche un altro Sordi intimo, quello innamorato, e di una donna più grande, dettaglio non sdoganato per l’epoca, e più famosa, Andreina Pagnani, interpretata da Pia Lanciotti. E conosciamo un Sordi sostanza dell’amicizia, quella genuina e sincera con un allora sconosciuto e giovane Federico Fellini – ben recitato da Alberto Paradossi – anche lui alla spasmodica ricerca di fare della sua fantasia il mestiere del cinema, quel cinema e quell’onirismo che i due coniugheranno poi, insieme all’affetto personale, in titoli nel tempo iconici come Lo sceicco bianco (1952) o I vitelloni (1953).
“Quando Luca mi ha chiamato per fare un film su Sordi io ho chiesto: ‘Sordi chi lo fa?’”, ammette subito Edoardo Pesce. “Abbiamo lavorato sulla mia romanità, musicalità e insieme tarato il personaggio: spero non ci sia niente di pretenzioso, per non ‘sordizzare’. Il suo famoso ‘saltello’ m’è venuto facile, può darsi ce l’abbia nel DNA. Mi sono approcciato abbastanza istintivamente, senza grosse ricerche, perché ho in casa quella romanità, con i tempi giusti tra lingua e dialetto, quella bella di Fabrizi, Proietti, Magnani, Petrolini. L’esperienza lavorativa del film m’ha fatto affezionare di più a Sordi, s’è creata una mia magia privata nel riuscire ad immaginarlo intimo, non sapendo come fosse, e lavorando di fantasia ad un livello astratto. Io avevo molte insicurezze, anche fisiche, perché sono più grosso: abbiamo messo a tutti tacchi ‘alla Cugini di Campagna’! Credo di aver messo, poi, una forma di fragilità, di malinconia fanciullesca, che cerco di portare sempre un po’ nei personaggi. Sordi, infatti, mi piace molto nei film in cui toglie la corazza, lo percepisco vivo e più fragile, e ho cercato un po’ di mettermi anch’io a nudo. Ho portato in scena una mia/nostra idea di Alberto Sordi, l’ho preso come una maschera della nostra cultura, certo questa è stata la mia… interpretazione”.
“C’è tantissimo materiale su Sordi, affrontandolo ti senti una responsabilità enorme verso il mito. Abbiamo cercato di entrare anche un pò dentro il privato. La cosa che a me ha colpito è come l’immagine di Sordi, maschera della romanità un po’ cinica, abbia tra le pieghe di questo profilo un Sordi tenero, che esce nel rapporto con i famigliari e nelle pagine delle iniziali sconfitte”, spiega Dido Castelli, cosceneggiatore.
Il film diretto da Manfredi, oltre che raccontare più l’uomo che il personaggio, racconta anche una bella Roma, quella “scenografica” di scorci del centro storico, dal “ponte rotto” nei pressi della Tiberina alle osterie di Campo de’Fiori, oltre che di una Cinecittà davvero fabbrica dei sogni, luogo in cui sono state realmente girate sequenze specifiche di questo film, come quella sul set dell’Antica Roma – attualmente perenne presso gli Studi sulla Tuscolana – utile nel film a ricordare il Sordi “debuttante” comparsa in Scipione l’Africano (1937).
Il film è prodotto da Ocean Production e Rai Fiction: “È un amore reciproco quello tra Rai e Sordi: abbiamo voluto raccontarlo, dopo 40 anni da un programma del ’79 mandato in onda dal secondo canale, ai nuovi spettatori. Quando è stata organizzata la visione del provino di Edoardo Pesce siamo rimasti sorpresi, stupiti e emozionati: lui restituisce immediatamente energia, generosità e talento. Noi raccontiamo soprattutto le difficoltà che il genio aveva ad affermarsi, a causa del ‘suo faccione’, che spesso lo hanno relegato ad essere ‘solo’ doppiatore, ma tenacia e umiltà gli hanno permesso di superare gli ostacoli dei canoni estetici dell’epoca”, spiega il produttore Fabrizio Zappi.
Il Natale di Roma, 21 aprile, quest’anno si festeggia con la messa in onda tv del film, che prima passa al cinema come evento per tre giorni – 24-25-26 febbraio, il primo dei quali corrisponde alla data di scomparsa dell’attore.
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