E se Venezia ’72 premiasse una commedia come L’hermine?

All’Italian Pavilion si parla di come la commedia venga snobbata dai festival, tema indagato dall’ultimo numero del magazine 8½. E Laura Delli Colli si chiede perché non un premio a Lina Wertmüller


VENEZIA. All’Italian Pavilion si parla di commedia e di come viene snobbata dai festival, tema indagato dall’ultimo numero del magazine , ma prima si ricorda il critico Callisto Cosulich, scomparso a fine giugno. Un omaggio in sintonia con l’incontro perché Cosulich ha raccontato il cinema senza troppi schemi e pregiudizi, spesso presenti nella critica militante, avverte Laura Delli Colli, presidente del Sngci:“Amava il cinema d’autore, ma anche la commedia e quello di genere”. E’ stato il rappresentante, secondo Franco Montini presidente del SNCCI, di “una critica dotta ma non settaria, popolare ma non populista”. E il figlio Oscar, visibilmente commosso, ricorda che il padre era un critico aperto e ricettivo: Billy Wilder conviveva con Manoel de Oliveira e c’era spazio anche per il caratterista Bombolo, fu l’unico critico infatti a scriverne, in modo appassionato, quando scomparve.

Gianni Canova, direttore editoriale di , apre l’incontro lanciando subito una provocazione: possibile che alla Mostra di Venezia la commedia italiana fatichi a essere presente e premiata? Uno degli ultimi titoli è stato Ovosodo di Paolo Virzì (Gran premio della giuria 1997). “Ai festival le commedie arrivano se chi le firma è morto o se hanno qualche contenuto sociale, o se accettano di partecipare fuori concorso”. Quest’anno comunque in gara a Orizzonti c’è Pecore in erba di Alberto Caviglia. E Canova prova a darsi una spiegazione di questo ostracismo. “Noi italiani ridiamo di tutto, ridiamo incessantemente. Ma non riconosciamo al riso dignità culturale, non è tra gli elementi costitutivi della nostra identità. Umberto Eco ne ‘Il nome della rosa’ lo spiega con il personaggio del bibliotecario che distrugge il secondo libro della ‘Poetica’ di Aristotele, in cui il filosofo legittima il riso, temendo gli effetti sociali di tale legittimazione”.

Per il regista e interprete Maccio Capatonda “la commedia non è inquadrata nell’arte e il mio Italiano medio è un film comico con contenuti amari. Del resto i miei riferimenti cinematografici sono Verdone, Benigni e Troisi. E’ un bene che a Venezia ci siano prodotti come il mockumentary Pecore in erba che fa ridere e riflettere al tempo stesso”.
Dopo la proiezione di questo film, i giornali hanno scritto “finalmente si ride al Lido”. E’ la conferma, sostiene l’attore e doppiatore Francesco Pannofino, che c’è spazio alla Mostra di Venezia anche per la commedia, purché di spessore e non per quella con la pernacchia. Credo che Boris sia una commedia valida perché che mostrava l’Italia odierna con le sue meschinità.
Concorda Canova: c‘è la commedia dozzinale e quella di qualità, ma l’ostracismo dei festival fa sì che il prodotto si appiattisca e non ci sia una ricerca creativa. Per fortuna c’è chi ci prova e con esiti favorevoli: Edoardo Leo, Rocco Papaleo, Pif e Manetti Bros.

Ma sono poi così così diffidenti verso la commedia i direttori dei festival, si chiede Franco Montini? Semmai c’è carenza di prodotto: di commedia cattiva ce n’è poca e prevale quella buonista e leggera. Non aiuta poi il fatto che sia un genere che ne racchiude molti altri: comico, farsesco, parodistico, agro-dolce.
“Una prova di una certa disattenzione da parte dei festival? Laura Delli Colli segnala che la Mostra di Venezia che ospita il documentario biografico Dietro gli occhiali bianchi, non abbia dedicato un premio ufficiale alla regista Lina Wertmüller che ha ben raccontato la nostra società ed è stata candidata all’Oscar. In controtendenza vanno alcuni festival minori attenti alla commedia: il BAFF e il neonato Sabaudia Film Fest. La presidente del Sindacato Giornalisti ricorda poi che il Nastro d’argento alla Migliore commedia, nato 6 anni fa, ha fatto da battistrada e che il fenomeno Zalone è stato subito intercettato.

Canova evidenzia anche la pigrizia creativa della commedia che spesso s’accontenta di modelli sperimentati e ripetuti, dalla trama al cast, dalle location alla fotografia cromaticamente uniforme e invisibile. Tuttavia c’è chi prova a rompere consolidati canoni come Massimo Schiavon, autore della fotografia de I soliti idioti e Italiano medio. “Ho evitato che tutto fosse a fuoco o che devo vedere tutto in modo chiaro e quindi la luce è la più piatta possibile”. Capatonda conviene che la fotografia si deve declinare a seconda della storia e non del genere, commedia o dramma che sia.
E ora non resta che attendere il palmarès di Venezia 72 magari con qualche sorpresa. Come un riconoscimento all’ottima commedia francese in Concorso L’hermine, con protagonista uno straordinario Fabrice Luchini, che nella classifica stilata dai critici italiani per ‘Ciak in mostra’ si posiziona al terzo posto. 

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