E il naufragar m’è dolce…in 3D


Cento anni sono passati dalla tragedia del Titanic. Quindici dalla prima uscita in sala del kolossal di James Cameron che su quella tragedia ha costruito una storia che ha emozionato una generazione, nonché un’autentica fortuna al botteghino: l’incasso più alto di tutti i tempi fino ad allora, per un totale di 1.850.300.000 dollari superati solo, nel 2010, da Avatar, dallo stesso regista.

 

Dal 4 aprile il film viene ridistribuito da Fox in 3D, per celebrare il centenario e, inutile negarlo, cavalcare l’onda commerciale di una realtà – la stereoscopia – che nonostante faccia fatica ad affermarsi come formato del futuro offre comunque ottime possibilità di guadagno, specie quando si tratta, con spesa tutto sommato limitata, di rielaborare qualcosa che già esiste per darlo in pasto a un nuovo pubblico e a buona parte di quello vecchio, disposta a pagare il sovrapprezzo del biglietto pur di rivivere in sala le emozioni provate anni prima. Qualcosa di simile al modernariato, ma in questo caso parliamo di un ‘classico’ abbastanza recente.

 

Il film lo conosciamo, e c’è da sottolineare quanto risulti ancora incredibilmente moderno, sia nella visualizzazione – se si eccettua qualche totale sulla nave in cui si intravede la ‘falsità’ dei movimenti di chi la popola, gente creata al computer, come nel videogioco ‘The Sims’ – che nella scrittura, con il suo perfetto alternarsi di registri – la storia d’amore, il film storico, il thriller, il catastrofico, il romanzo di formazione e, non ultimo, il documentario – e una sceneggiatura che, nonostante imprecisioni tutto sommato minori (gli occhi di Rose che cambiano colore con l’età, ad esempio), a tutt’oggi non perde un colpo, rendendo facile la digestione di quello che è a tutti gli effetti, un ‘polpettone’ di oltre tre ore. I temi sono quelli cari al regista: l’incontro tra mondi diversi, come in Avatar, l’ineluttabilità del fato, come in Terminator. I grandi autori spesso raccontano sempre la stessa storia. Le differenze stanno nel modo di raccontarla.

Parliamo allora del 3D. Le conversioni di solito lasciano parecchio amaro in bocca, e la leggenda narra che lo stesso Cameron si fosse più volte dichiarato contrario, prima di visionare il lavoro svolto dalla società che si è occupata di Titanic, la Stereo D, che gli ha fatto cambiare idea. D’altro canto, se non ci fosse riuscito lui, che il 3D l’ha rilanciato proprio con Avatar, nessun altro avrebbe potuto. Il regista ha supervisionato direttamente i lavori. “E’ la mia creatura – ha dichiarato – quindi avevo voglia di tirarmi su le maniche e partecipare. Offrire il film in questa nuova veste aveva per me un profondo significato, e trovava corrispondenza nella maturità raggiunta dal processo di conversione in 3D. Volevo essere sicuro che la conversione potesse essere realizzata in modo convincente e senza compromessi. Volevo che Titanic desse l’idea di essere stato girato fin dall’inizio con le macchine da presa stereo. Abbiamo effettuato dei test con le grandi scene con la folla che corre lungo la nave per vedere se era possibile realizzare quella complessità. Sapevamo che era adatto al 3D, bisognava capire se il 3D era maturato fino al suo livello. La stereoscopia potenzia gli ambienti spettacolari e l’azione, ma migliora anche le interazioni umane. I momenti intimi sono più incisivi perché il pubblico ha la sensazione di trovarsi proprio lì con il personaggio e la sua passione, paura o speranza. Penso che questo sia qualcosa che Hollywood ha largamente trascurato. Il 3D è spesso percepito come un sottile strato di smalto adatto ai film d’azione e d’animazione. Ma il 3D ha anche la capacità di dare una carica di energia alle emozioni”.

Operazione riuscita? Grossomodo, sì. L’effetto stereoscopico è presente e fortemente percepibile, a differenza di quanto accadeva, ad esempio, in Star Wars – La minaccia fantasma, e a beneficiarne sono soprattutto le scene d’apertura, con le riprese subacquee del vero relitto del Titanic. Una buona profondità di campo fa bella mostra di sé anche nel resto della pellicola, donandole effettivamente potenza emotiva ma, paradossalmente, l’effetto tende ad appiattirsi proprio durante le tragicamente spettacolari scene dell’affondamento della nave.

 

Difficoltà tecniche? O forse, semplicemente, un tentativo di limitare la sensazione di stress visivo a cui molti spettatori si sentono sottoposti dopo lunghe sessioni di stereoscopia.

Alla fine della proiezione, a qualcuno bruciavano gli occhi, qualcun altro aveva la nausea. Insomma, in generale funziona, e se è un pretesto per rivedere un bel film in sala, ben venga.

Ma nel mare del 3D, qualcuno, ancora ci naufraga.

autore
03 Aprile 2012

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