L’annus mirabilis di Inside Out non accenna a fermarsi. Dopo aver conquistato le vette del box office internazionale con l’atteso sequel, campione d’incassi divenuto il più grande successo animato di sempre, è approdata su Disney+ la miniserie dal titolo Dream Productions, sempre ambientata nella “Mente di Riley”. Se infatti i primi due lungometraggi ci hanno raccontato i retroscena della psiche e delle emozioni della ragazza, la serie tv in quattro episodi si dedica al mondo onirico che anima le sue notti, rivelando ciò che accade nel cervello quando chiudiamo gli occhi e inizia ad agire il subconscio.
Diretta secondo lo stile del making of, con evidenti riferimenti alla sitcom di successo The Office, la serie sorprende per il parallelismo tra la creazione dei sogni e il mondo degli Studios cinematografici: come già marginalmente rivelato nel primo film, scopriamo che nella mente di Riley abita una piccola Hollywood dell’onirico, dove diversi registi e produttori si occupano di rielaborare i suoi ricordi e la sua immaginazione per creare momenti indelebili. A inizio racconto però scopriamo che con la crescita della piccola Riley, ormai entrata in adolescenza, non bastano più i vecchi racconti dedicati a unicorni colorati e magie strabilianti. Serve di più. In un gioco di paralleli con la crisi della narrazione hollywoodiana, sempre alla ricerca del giusto storytelling per le nuove generazioni, la “Dream Production” si interroga sul da farsi e cerca le storie più giuste per la ragazza, nel frattempo impegnata con le sfide dell’adolescenza, tra il ballo di fine anno e l’imbarazzo della vita di classe.
La serie, animata secondo gli alti standard Pixar e capace di ripetere le atmosfere dei primi due film, regala alcuni momenti davvero esilaranti, risultando a tratti il contenuto più creativo di tutto il franchise. Le emozioni protagoniste dei due lungometraggi fanno capolino solo di rado sullo schermo e facciamo così la conoscenza di alcuni nuovi personaggi, come Paula, ex regista di successo in cerca di un nuovo grande sogno che la rilanci tra il Pantheon della Dream Production, e soprattutto tra le grazie della produttrice che guida gli Studios senza scrupoli. Riley non è più la bambina che era una volta e le sfide delle nuove generazioni complicano il lavoro di questa piccola Hollywood dell’onirico. Tra queste, l’uso smodato degli smartphone che accecano di luce blu gli occhi poco prima del sonno.
Dentro la Dream Production scopriamo che ogni sogno ha un genere e così un suo regista preposto: dall’esperto di action di arti marziali al genio della romcom, tutti alla ricerca del grande successo che Riley possa ricordare negli anni. La satira hollywoodiana non si ferma qui, perché le news del giorno sono lette su “Sleepy” e “The RileyWood Reporter”, simpatici riferimenti a Variety e The Hollywood Reporter, tra le riviste di settore più note nel mondo del cinema. I quattro brevi episodi non permettono di restituire un racconto veramente compiuto, ma ogni momento nella Dream Production è divertente, un’infusione di trovate geniali e di critica al mondo delle produzioni.
All’inizio, quando esploriamo per la prima volta questo dietro le quinte dei sogni di Riley, sembra di rivedere i finti making of che chiudevano Toy Story 2, momenti di perduta genialità Pixar, capace di immaginare che Woody e compagnia avessero registrato bloopers e retake. Forse, il futuro di Inside Out è anche fuori dalla consolle di controllo delle emozioni principali, dove abitano le note Felicità e Tristezza. Perché Dream Productions è una bella trovata, e a tratti vi farà pensare di avere il set di Boris in testa.
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