“Una grande storia d’amore e di libertà, per rivendicare il diritto di scegliere chi amare, senza etichette”. Così la regista Donatella Maiorca definisce il suo Viola di mare, primo film italiano in concorso al Festival di Roma e opera seconda della regista dopo Viol@. Prodotto da Maria Grazia Cucinotta con la Italian Dreams Factory, il film è tratto dal romanzo “Minchia di re” di Giacomo Pilati, ispirato alla storia vera di due donne che, a metà del 1800, si innamorano perdutamente l’una dell’altra e sfidano coraggiosamente le rigide convenzioni dell’epoca fino a trovare il modo di sposarsi ed avere un figlio. Nei panni delle protagoniste, le convincenti Valeria Solarino (Angela/o) e Isabella Ragonese (Sara): la prima consapevole e determinata nel coronare la sua passione, la seconda più timida e innocente, ma pronta ad esasperare la sua femminilità e maternità per compensare la forzata mascolinità della sua compagna. Quest’ultima infatti, per vivere il suo amore sarà costretta a fingersi un uomo e a trasformarsi da Angela in Angelo: un’ipocrisia tutto sommato accettabile nel contesto di un’isoletta siciliana nel 1860, dove il prete non è affatto casto e l’autoritario padre di Angela (Ennio Fantastichini) frequenta altre donne con disinvoltura. In 100 sale con Medusa a partire da oggi (16 ottobre), Viola di mare le cui musiche “acid-rock” sono composte da Gianna Nannini non esita a mostrare le scene di sesso saffico tra le due protagoniste, seppur in modo misurato e senza compiacimenti.
Come si è imbattuta in questa storia, e quanto è diversa rispetto al romanzo di Giacomo Pilati?
In realtà mi sono imbattuta nella sceneggiatrice Pina Mandolfo, che mi ha presentato l’autore del romanzo: insieme mi hanno coinvolto nel progetto, mi hanno fatto leggere il libro e convinto a raccontare questa storia. In questo racconto ci sono vari “tradimenti”: è tratto da una storia vera che era già stata romanzata quando è diventata un libro, e poi di nuovo “tradita” nel passaggio sul grande schermo. Ci sono stati quindi tre passaggi, ed è inevitabile che la storia abbia assunto altre forme. Ma il nucleo centrale, che era ciò che mi interessava e che sopravvive fino ai giorni nostri, è il messaggio di amore e libertà.
Che amore è quello tra Sara ed Angela?
Un amore forte e appassionato. Angela non ama tutte le donne, ma solo Sara, e lo fa da quando era bambina, perché sin da piccola trova in lei una risonanza affettiva che poi cresce. Bisogna vedere questo amore come un sentimento tra due esseri umani, non importa che siano dello stesso sesso, perché purtroppo oggi c’è un virus latente di razzismo e violenza contro il diverso. Per questo la storia è attuale oggi come allora.
In “Viola di mare” c’è l’importante contributo musicale di Gianna Nannini.
Gianna dà un valore aggiunto al film, è stato un privilegio lavorare con lei. Dà un’accelerazione alla storia e contribuisce a renderla attuale pur svolgendosi nel 1860. Anche attraverso la musica lancia un messaggio di libertà e tolleranza, esce dagli schemi classici e propone delle accelerazioni rock autoriali.
Sono passati dieci anni dal suo primo film, Viol@.
Un periodo lungo, è vero, dipeso da motivi personali ma anche oggettivi, perché in Italia è difficile fare i film, e il nostro cinema deve essere aiutato. Per questo voglio ringraziare Medusa che ha creduto in questa storia coraggiosa e rischiosa, per cui molti ci hanno sbattuto le porte in faccia. Comunque in questi dieci anni ho fatto tanta televisione, ma spero di non dover aspettare altri dieci anni per fare ancora cinema.
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