CANNES – “È difficile dire se un film è migliore di un altro. Non si può valutare in modo assoluto. Si sceglie ciò che piace in un certo momento, da certe persone che la pensano così in quel particolare momento. Certamente la mediocrità è più facile da giudicare”. Così Valeria Golino, giurata italiana del 69° Festival di Cannes, che ha incontrato i giornalisti insieme agli altri membri della giuria presieduta dal regista australiano George Miller e composta dal regista francese Arnaud Desplechin; dall’attrice statunitense Kirsten Dunst; dall’attore danese Mads Mikkelsen; dal regista ungherese László Nemes; dall’attrice francese Vanessa Paradis; dalla produttrice iraniana Katayoon Shahabi e, infine dall’attore canadese Donald Sutherland.
Per il regista di Mad Max: “la giuria è soprattutto una scuola di cinema e una bella occasione per vedere nuove opere differenti. Insomma un’occasione per celebrare il cinema con altri colleghi”. Nel caso della sua patria, l’Australia: “Non si può nascondere che abbia tratto benefici ogni volta che è stata selezionata a Cannes, anche se non ha vinto nulla. Ogni passaggio sulla Croisette ha fatto sì che la nostra cultura sia stata meglio conosciuta. Esiste ancora un cinema nazionale – ha continuato Miller – ed è interessante vedere come in un film emergano monoculture nazionali e anche sub-culture”.
E i film ignorati da Cannes e poi amati dal pubblico? “Terremo conto anche di questo aspetto, ma questo è un po’ il mistero dei palmares”.
Madsen crede invece “che il più grande ostacolo sia l’approccio diverso riguardo al cinema che possono avere i giurati. Il segreto è allora quello di tornare ad essere solo spettatori come tanti altri”. “Ogni film è diverso e con giurie diverse il risultato può cambiare totalmente”, ha affermato il regista ungherese László Nemes. A dare un tocco di brio a questa conferenza stampa è stato lo spirito caustico di Donald Sutherland. A proposito dell’identità del cinema canadese ha raccontato una barzelletta. “C’erano una volta un inglese, un canadese e un francese condannati a morte. Hanno un ultimo desiderio. L’inglese chiede un tè. Il canadese di parlare per quindici minuti dell’identità del cinema canadese. Il francese di essere fucilato prima del canadese”.
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Alla fine Valeria Golino lo dice chiaramente. "C'è stata unanimità? Quasi". E aggiunge: "Ci sono state lunghe discussioni, ma nessuna decisione è stata presa coi musi", e definisce l'esperienza appena conclusa "faticosa e memorabile". A caldo è abbastanza evidente che la giuria di George Miller ha dovuto fare un bel po' di compromessi. Due particolari rivelatori. Il doppio premio a The Salesman, il bel film di Asghar Farhadi che forse avrebbe meritato la Palma d'oro, e il premio per la regia ex aequo. I premi
E’ Ken Loach con I, Daniel Blake il re del palmarès di Cannes 2016. Seconda Palma a dieci anni di distanza per il regista britannico, che aveva già conquistato il premio con Il vento che accarezza l'erba. “Cercate di restare forti, per favore. Ci sono persone che faticano a trovare il cibo nel quinto paese più ricco del mondo – ha detto il regista alla premiazione – il cinema serva anche a dare speranza. Un altro mondo è possibile e necessario”. Fanno colore le copiose lacrime di Xavier Dolan e l'esuberanza di Houda Benyamina, vincitrice della Camera d'or. I premi