VENEZIA – Cortometraggio di chiusura della Settimana Internazionale della Critica al Festival di Venezia 2024, Domenica Sera di Matteo Tortone è la storia di un amore impossibile, raccontato attraverso una notte negli spazi underground della periferia di Torino. Protagonisti del corto sono il giovane Alex, un ultra, e Nemy, rapper conosciuta nel corso di una battle rap. Un percorso di esplorazione umana che racconta la vita di quartiere, ai margini della legalità, tra spaccio e psicofarmaci, e ne rivela i palcoscenici più imprevisti, dove rap e hip hop sono ancora strumento di emancipazione. Al confine tra lo Juventus Stadium e il carcere, i due protagonisti scoprono, per un breve istante, un nuovo mondo nello sguardo dell’altro. Domenica Sera è prodotto da Eie Film in associazione con Malfé Film e Imago VFX.
Come nasce l’idea di Domenica Sera e come l’hai sviluppata?
Domenica Sera nasce da un progetto di lungometraggio che si chiama Inverno, che sto cercando di sviluppare da diverso tempo. Con il corto condivide l’ambientazione: è la storia di una settimana di un gruppo di ragazzi che progressivamente si trova nei meccanismi del potere criminale e viene obbligato a partecipare. Durante la preparazione e lo sviluppo di questo film ho iniziato a conoscere dei ragazzi che potevano aiutarmi sia nella comprensione delle dinamiche interpersonali e nel linguaggio dei protagonisti. È un ambiente che ho esplorato a fondo, proprio frequentando chi lo abita. Una storia che mi sembra molto diffusa, non tanto la relazione tra i due protagonisti, quanto queste dinamiche relazionali tra chi sta dentro e chi sta fuori, tra il carcere e l’esterno. Questo mi ha affascinato molto.
C’è anche una dimensione di ricerca antropologica nel corto?
Diciamo che non c’è stata una volontà di fare un’indagine antropologica vera e propria, ma ci siamo soffermati più sulla dinamica relazionale piuttosto che su un’analisi precisa e scientifica. Sono due quartieri che orbitano tra il confine del carcere e lo stadio, e questi luoghi influenzano notevolmente lo spazio e quindi la vita delle persone.
Secondo te, che tipo di ritratto della gioventù ne esce?
Rispetto a quando sono cresciuto io, negli anni ’80, oggi osservo un diffuso amaro realismo. Non ho né la pretesa né le competenze per parlare di un’intera generazione, ma ho trovato anche ragazzi che magari hanno lasciato la scuola superiore perché non li stimolava, e si sono trovati delle vie alternative, studiando da soli e sfruttando le possibilità che la tecnologia consente. C’è chi sogna, ma il sogno si ridimensiona sempre di più e diventa qualcosa di concreto, una necessità di trovare un lavoro il prima possibile. È una gioventù molto diversa.
Nel tuo corto trovano spazio il rap e la musica underground come strumento ultimo di libertà ed espressione individuale, una cosa che oggi nell’arte mainstream viene sempre più a mancare
Ho l’impressione che la musica sia diventata più un prodotto televisivo che musicale, e che l’immagine conti troppo. Però ci sono ancora nicchie, come il freestyle, dove la libertà resta un valore. Ho trovato molte persone che non scambierebbero mai quella libertà, anche se effimera e senza ritorno economico, con una struttura più rigida e prodotta. È un po’ l’arte per l’arte, un grande sfogo di frustrazioni, come l’arte inizialmente sa fare in tutte le sue forme.
E il cinema, invece, riesce ancora a comunicare ai giovani e a essere uno spazio di libertà?
In questo momento io sono principalmente preoccupato per la soglia dell’attenzione che stiamo costruendo nelle nuove generazioni. Se sono abituati a tenere un’attenzione di massimo cinque minuti, temo che diventi difficile sviluppare un pensiero complesso, e questo si riflette sulla fruizione di un certo cinema, soprattutto indipendente. Il cinema richiede almeno 100 minuti di attenzione, ma se la soglia è così bassa diventa difficile proporre certe immagini e racconti. Non so quanto questo processo sia reversibile.
A cosa stai lavorando ora?
Mi sto concentrando su Inverno e spero mi impegni molto nei prossimi mesi. Con la mia società di produzione, Malfé Film, abbiamo anche altri progetti in sviluppo, tra cui documentari creativi e un altro cortometraggio in uscita. È un periodo intenso.
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