VENEZIA – Come “tenere segreto un segreto più grande del segreto stesso?”, questo il cuore di Disclaimer – La vita perfetta, serie in 7 episodi, Fuori Concorso a Venezia81, scritta e diretta da Alfonso Cuarón e interpretata da Cate Blanchett, Kevin Kline, Sacha Baron Cohen.
Catherine Ravenscroft (Cate Blanchett) è una giornalista, una documentarista di successo, una persona che dedica da sempre la sua vita a cercare la verità e a dimostrare come possa essere manipolata, “ha trascorso la vita a esporre le ingiustizie nelle vite degli altri”, precisa l’attrice del suo personaggio, la cui apparente irreprensibilità, l’essere “giusta”, vive alla base – ma poi si trasforma, modifica, ribalta quando il passato ritorna: per Cuarón “il personaggio di Cate sembra impeccabile, e Steven Bringstocke (Kevin Kline) ci mostra atti estremi ma crede di sapere qualcosa che instilla il dubbio negli altri; si tratta molto di come noi percepiamo noi stessi e le bugie che ci raccontiamo”.
Per Blanchett – nella serie sposata con Robert (Sacha Baron Cohen) e mamma di Nick (Kodi Smit-McPhee), ventenne addetto alle vendite in un negozio di elettronica, “la sua crisi ha luogo quando la incontriamo, quindi lì sappiamo poco del suo pregresso: è stato difficile attenuare la percezione, io stessa ho messo del giudizio su di lei non conoscendola, e Alfonso ha messo insieme tutto questo; il regista ci consente di assemblare la verità”.
Ci sono la spensieratezza e la libertà affettiva e sessuale dei vent’anni, ci sono l’idillio famigliare, l’età adulta e la morte, e c’è il viaggio, con tanto del nostro Paese, da Venezia alle spiagge della costa italiana, ed è proprio qui che “si consuma” il cuore che innesca il fatto, ciò che consente di inanellare le vite dei personaggi, perché è lì che Cate, giovane e bellissima mamma del piccolo Nicholas, incontra Jonathan (Louis Partridge), in trasferta dall’Inghilterra con una macchina fotografica sempre in mano, sempre… Si conoscono controluce, di schiena, attraverso un obiettivo fotografico, occhio dapprima nascosto e poi lente d’ingrandimento sulle esistenze di tutti…
Jonathan era figlio del professor Bringstocke, insegnante da cinquant’anni, adesso stufo di tutto… del suo mestiere, e marito di Nancy (Lesley Manville), di cui – al presente – è vedovo, e di cui in casa indossa sempre un cardigan rosa.
Per Cate Blanchett “il lato oscuro appartiene a ciascuno di noi, spesso siamo riservati, io questa la chiamo privacy, ma tutti abbiamo qualcosa da nascondere, non perché sia sbagliata ma perché è qualcosa ancora da elaborare. È stata molto emozionante la separazione delle prospettive: il rapporto complesso di lei con il figlio e il marito, senza il punto di vista altrui, era affascinante. Il senso di colpa è un’emozione inutile, ma dal senso della vergogna possiamo imparare: mettere le persone alla gogna può portare alla rabbia, penso a quando si sgrida un figlio mentre, se spieghiamo le cose, credo possa avere esiti più efficaci, perché nel privato possiamo avere una riconciliazione che nel pubblico è difficile da ottenere; con questo, non voglio dire che le persone si debbano sempre scusare”.
Mentre per Kline “la certezza è un termine che non si addice al mio personaggio, che forse è anche alienato. Per me è stato un ruolo inusuale. Nei giorni d’oggi, a cosa credere, come discernere? Se crediamo a quello che ci appare davanti, agire di conseguenza non è sempre la decisione giusta” e per questa vicenda “non si tratta solo di famiglia o di vendetta”.
La situazione s’infiamma, letteralmente, quando Cate riceve via posta un libro, Un perfetto sconosciuto il titolo, dedicato “a mio figlio Jonathan”, e dove il “disclaimer” è che “…riferimenti a persone e cose non è puramente casuale…”. Blanchett spiega: “il mio personaggio ha seppellito il trauma, che continua a esistere nel corpo: ho pensato a cosa succeda alla memoria repressa non ancora elaborata, è affascinate quanto doloroso”.
E, proprio da un libro, Disclaimer di Renée Knight, l’autore messicano ha adattato la serie: “ho letto il libro e mi ha fatto pensare a un film, che però era troppo lungo, non ero in grado di dargli forma: solo molti anni dopo, rileggendolo, ho pensato di fare un formato popolare, come hanno fatto Lynch Fassbinder, Kieślowski e anche i Taviani. Mentre scrivevo la sceneggiatura era ben chiaro la protagonista fosse Cate Blanchett, infatti ero terrorizzato potesse rifiutare: all’inizio abbiamo parlato della necessità di essere specifici e con Kline ci siamo detti essere importante il personaggio fosse coerente con se stesso in quanto personaggio; Steven, anche se fa scelte dubbie, è sempre molto attraente”.
Alfonso Cuarón si misura con la serialità, ma non ha dubbi, e parlando di sé, come di Blanchett e Kline, dice: “noi tre ci siamo formati nel cinema e nel teatro, il nostro approccio è il lungometraggio, noi ci rivolgiamo alla tv come fosse un film, non ci siamo posti in modo differente. Per gli attori è stata difficile la serialità perché erano bloccati nel personaggio: abbiamo impiegato più di un anno per le riprese”, che hanno una personalità versatile, procedono su tempi e luoghi distanti e/o paralleli, passando attraverso lo sguardo di ottiche che aprono o chiudono su finestre narrative e in cui il regista ha scelto anche la voce fuori campo: “io ammiro il voice over quando non usato per pigrizia. Mi sono domandato: perché non pensare a più linee narrative? È stato interessante, pensando all’intero film e ai contrasti: la strategia è da applicare a seconda di come ci avviciniamo al personaggio. Abbiamo diverse voci e ognuna ha il proprio linguaggio cinematografico, ciascun linguaggio fornisce un punto di vista differente: si voleva – al contempo – creare una continuità temporale, con una coerenza tra le riprese”.
Disclaimer – La vita perfetta è disponibile dall’11 ottobre su Apple TV+.
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