Dino De Laurentiis


“Vi è piaciuto il film? Sì? Allora possiamo andare avanti”. La premessa è di rito, per Dino De Laurentiis, produttore vecchia scuola, nato a Torre Annunziata e ora cittadino americano. Il film in questione è U-571, costo 150 miliardi di lire (incasso americano 80 milioni di dollari), che narra la storia dei marinai della seconda guerra mondiale che sono riusciti a recuperare Enigma, dispositivo di codificazione top secret, all’interno di un sottomarino tedesco. Le riprese sono state effettuate a Cinecittà per gli interni e a Malta per gli esterni.
Una storia produttiva nota, quella di De Laurentiis, che parte da film come Riso amaro, Guardie e Ladri, La strada, Dov’è la libertà, L’oro di Napoli, Un giorno in pretura, Le notti di Cabiria, La grande guerra, per proseguire poi con Hurricane, Flash Gordon, Dune. E Hannibal, girato anch’esso in Italia. Nel ’99 il Sindacato Giornalisti Cinematografici gli ha destinato, unico produttore in vent’anni, il premio Bianchi, che quest’anno riceve Gillo Pontecorvo. Tra pochi giorni, il produttore riceverà anche il premio speciale della giuria al Festival di Deauville.

De Laurentiis, “U-571″ prima, poi “Hannibal”. Ha voglia di tornare a girare in Italia?
U-571 l’abbiamo girato in Italia per motivi economici. È stato un piacere comunque tornare a Cinecittà. Nel caso di Hannibal, la scena realizzata a Firenze era nel libro di Thomas Harris. L’impegno di tornare a girare in Italia però c’è. Ho in progetto tre film, due sono ambientati qui.

Quali sono?
Uno s’intitola L’ultima legione, sarà diretto da Carlo Carlei, che di recente ha realizzato Padre Pio per Canale 5, un regista che ormai considero internazionale. È ambientato nell’antica Roma, ma non è la solita storia di imperatori, parla di un uomo comune. Il secondo ha come titolo provvisorio La donna con la pistola, sarà girato a Milano e interpretato da un’americana, non sappiamo ancora chi. Parla di una giovane che arriva ventenne in Italia, ha un bambino e rimane vedova. Il film comincia che il figlio ha 18 anni e ripercorre varie tappe del passato. Il tema è la criminalità italiana e quella organizzata degli immigrati. Sarà diretto da Andrei Sergeyevich Konchalovsky. Entrambi sono coprodotti da Rai Cinema.

Perché non ha scelto un regista italiano?
Perché non esiste in Italia un autore bilingue in grado di girare in inglese. Ho cercato di convincere Ricky Tognazzi, che apprezzo molto, ma il problema dei registi italiani è che vogliono lanciare sempre un occhietto alla critica. I film sono fatti per il pubblico. Poi, magari piacciono anche alla critica. Konchalovsky anche se ha girato film in America è di origine russa, nazionalizzato francese, conosce l’Europa.

Ma in Italia si possono girare storie di interesse internazionale?
Il problema sta nel fatto che i film italiani non sono esportabili, nascono e muoiono qui. Ma con le forze attuali e alcuni accorgimenti le cose possono cambiare. Io voglio dimostrare al cinema italiano che si possono ancora creare storie che abbiano interesse internazionale.

Perché i film italiani non sono esportabili?
La legge italiana è assurda, impone le riprese in lingua italiana. Questo impedisce l’esportazione, perché il resto del mondo non vede i film con i sottotitoli. Stesso vale per le videocassette e la televisione. Ho parlato con il ministro Giovanna Melandri perché le cose possano cambiare. Mi ha assicurato disponibilità.

Lei che tipo di produttore si considera?
Mi considero uno showman, un uomo che deve fare spettacolo per il pubblico. Voglio fare film in grado di suscitare emozione, suspense, dramma, interesse. Per il resto, seguo la filosofia di Fellini. Lui diceva sempre che per il significato dei suoi film aspettava che uscissero le critiche sui giornali.

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03 Settembre 2000

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