Dietro le quinte di ‘Vermiglio’: l’Acting Coaching degli interpreti bambini

Alessia Barela: “Quei bimbi mi hanno insegnato i silenzi, ma anche come ‘parlare con gli occhi’: mi hanno svelato un altro tipo di affetto, e di infanzia”. L’intervista


Ogni anno CinecittàNews incontra le figure professionali che hanno lavorato dietro le quinte del film designato dall’Italia alla corsa per l’Oscar al Miglior Film Internazionale

 

 

“I bambini hanno una spontaneità che diventando adulti si perde: quando recitare inizia a diventare il tuo lavoro, poi arrivano anche l’ansia da performance e il resto. Quindi, teoricamente, con i bambini tutto dovrebbe essere molto più facile”.

Alessia Barela è un’attrice che frequenta da lungo tempo sia il grande che il piccolo schermo, a volte anche il palcoscenico. Ma in Vermiglio, il film di Maura Delpero designato dall’Italia per la corsa all’Oscar al Miglior Film Internazionale, non appare nei panni di alcun personaggio. Questa volta, infatti, se scorriamo i titoli di coda, troviamo il suo ruolo sulla linea dell’Acting Coach, la figura che sul set si occupa della “preparazione” degli attori, esattamente come quella dell’allenatore in una squadra sportiva. In questo caso particolare, degli attori bambini.

Alessia Barela

 

In effetti sia il verbo ‘jouer’ che ‘to play’ stanno lì a dirci che recitare dovrebbe essere la cosa più facile per un bambino, essendo per l’appunto un gioco. A partire da uno dei primi in assoluto che si fanno da piccoli: è proprio quello di finzione, del tipo… ‘facciamo che io ero la mamma e tu il figlio…’

 

“Esatto, non a caso Marcello Mastroianni venne soprannominato ‘l’antidivo’, perché fu il primo a notare che in inglese e in francese ‘recitare’ corrisponde esattamente a ‘giocare’. Chissà, forse si riferiva a certi attori che si prendono un po’ troppo sul serio, quasi non godono del mestiere che fanno: un mestiere, il nostro, che invece a volte dovrebbe essere anche un po’ ‘leggero’, per quanto io creda molto nella preparazione, fatta di studio e di tutto il resto…”

Quindi possiamo dirlo che stavolta il suo lavoro sul set è stato un gioco.

 

“Certo che sì (ride), un gioco bellissimo: ma ciò non significa che sia stato facile. Intanto perché il paese di Vermiglio è davvero ‘un altro mondo’ (rispetto a quello metropolitano, ndr). È un posto molto semplice e molto piccolo, dove tutti si conoscono, e lì i bambini hanno proprio altri interessi, giocano ad altro: per dire, alcuni al cinema non sono nemmeno mai stati. A uno piace intagliare il legno, l’altro fa il pastore, tutto contento delle sue pecore… E non avevano nemmeno mai pensato all’esistenza di un mondo come quello del cinema, tantomeno di fare gli attori. Sì, è vero, la finzione la conoscono nel gioco, come quasi tutti i bambini. Prendono i loro coltellini intarsiati nel legno e con quelli fanno gli spadaccini, come gli altri in città fanno con le spade luminose.

Ma in generale, secondo me un coach sul set dovrebbe esserci sempre, soprattutto per i più giovani. Perché quando parte ‘la macchina’ è normale che il regista, per quanto possa tenere tutto insieme – e Maura (Delpero, ndr) in questo si è dimostrata un genio – i bambini, soprattutto quelli piccoli, devono ripetere tanto, poi essere rassicurati quando entrano in scena. Io ad esempio mi mettevo lì fuori in modo che loro potessero vedermi sempre… Insomma devono essere ‘accompagnati’”.

Quanti e quali erano i bambini affidati a lei, quelli che doveva preparare? Erano tutti di Vermiglio, o dei dintorni?

 

“Erano quasi tutti di Vermiglio, tranne due che erano di paesi lì vicino, sempre in valle. Tutti volti stupendi: Maura ci ha messo oltre un anno a trovarli, faccia per faccia, scegliendoli da un numero altissimo di convocati. In totale io dovevo prepararne sei, tutti alla loro prima volta sul set: da Pietrìn (Enrico Panizza), di 5 anni, ai due gemelli pestiferi che ne avevano otto, Tarcisio (Luis Thaler) e Giacinto (Simone Bendetti); poi Flavia (Anna Thaler), la biondina di 12 anni, quindi Ada (Rachele Potrich), quattordicenne, e Dino (Patrick Gardner), 15 anni, il figlio più grande della famiglia protagonista. Ovviamente parlando di ragazzi, nel film c’era anche Carlotta Gamba (che nel film è Virginia), ma lei è già un’attrice bravissima: ha fatto le prove con Rachele, ma ovviamente non ha dovuto lavorare con me”.

Parliamo dei metodi che ha utilizzato. Anche ai bambini più piccoli si racconta tutta la storia del film? In che modo? Con l’aiuto di filmati? Foto? Disegni?

 

“La cosa più difficile non è stata la preparazione, per la quale basta una certa creatività, ma conquistarli: far sì che avessero fiducia in me, che non si sentissero ‘subordinati’ a me in nessun modo. Io poi parto in vantaggio, perché adoro i bambini e questo ruolo è una scusa per tornare piccola come loro (ride)… quindi giocavo sempre con loro, è come se io mi fossi ‘abbassata’ alla loro età, costruivo le loro cose… e pian piano si sono fidati, li ho – tra virgolette – ‘sedotti’, e alla fine è stato molto più facile dirigerli. Gli esercizi stessi sono giochi ovviamente, e ce sono tantissimi, a partire dall”indovina chi sono’, ognuno col suo cartellino appiccicato in fronte (vedi foto). Certo, ad esempio per le due ragazze, Ada e Flavia (Rachele Potrich e Anna Thaler), alle quali volevo proporre quelli classici previsti dal metodo Stanislavskij, in cui si sta attaccati l’una all’altro, faccia a faccia… all’inizio a loro l’ho fatto fare schiena a schiena: insomma, facevo delle variazioni, per non farle vergognare, anche perché so cosa vuol dire. Anche io che faccio l’attrice sono molto timida sul set, quindi le capivo tantissimo. E sapevo come farcele arrivare, senza traumatizzarle, la cosa più importante. Quindi gli ho fatto fare anche tantissimi esercizi ginnici, perché dovevano sciogliersi, anche fisicamente. E poi c’era un altro obiettivo immediato: nel film tutti loro erano una famiglia, e io dovevo accorparli. E invece, come è normale, all’inizio c’erano da una parte le femmine che avevano fatto subito gruppetto, e dall’altra i maschietti che giocavano a pallone, si arrampicavano sugli alberi, uno in particolare era un vero ‘demonio’ (ride)”.

Quando ha fatto altre volte l’Acting Coach per dei bambini sul set?

 

“In più di una occasione, mentre facevo contemporaneamente anche l’attrice. C’è da dire che, da attori, a volte si ha qualche difficoltà a lavorare con dei bambini bravi. Perché la spontaneità che hanno loro, che è vera, tu la devi invece ricreare, ma non la avrai mai così. Quindi sono anche un grande stimolo per gli attori. Io ad esempio quando recito con i bambini imparo sempre tantissimo. La coach ad esempio l’ho fatta con i bimbi di un film – Giochi d’estate – in cui interpretavo la loro madre, ma poi anche in altri film: dovunque ci sono bambini, i registi chiedono sempre a me di prepararli. Anche nel mio primo film, Velocità massima, in cui eravamo io, Valerio Mastandrea e un ragazzo esordiente, bravissimo, con cui io avevo tutte le scene, perché nel film avevamo una ‘storia’. Anche con lui, quindi, facemmo tante prove, esercizi… Oppure anche in una divertente fiction tv che si chiamava La mamma imperfetta, in cui avevo tre gemelli piccolissimi… pensa che la loro vera mamma ancora mi chiama, dice quell’esperienza ha fatto bene al carattere di quei piccoli… Ma ovviamente io risento anche i bambini di Vermiglio, sono già tornata a trovarli, perché mi sono affezionata davvero, sia a loro che alle loro mamme”.

Qualche momento più ‘critico’ che si è creato, magari per recitare qualche scena in particolare.

 

“Quando tutti i miei – che erano i più piccoli – sono arrivati, abbiamo fatto un mese di prove in teatro, erano molto molto timidi. In più i maschietti hanno un forte senso del ridicolo, accentuato dal fatto che io, coach, sono una donna. Quindi si vergognavano ancora di più. Anche le due ragazze si vergognavano molto, ma la loro era più una paura di non farcela, e un po’ anche vergogna tra loro due… Mentre tornando ai bambini, ad esempio all’inizio Pietrìn (Enrico Panizza), il più piccolo di tutti, che poi si è rivelato più che bravissimo… e nessuno di noi ci sperava, perché lui proprio non voleva farlo: piangeva proprio, non voleva stare in scena, diceva ‘basta, basta, mi sono stancato’. Perché c’è anche da dire che i bambini non sono abituati a stare tanto fermi ad aspettare, magari vogliono andare a giocare, o hanno sete, fame… E invece il nostro lavoro è un lavoro di attese, anche tra una scena e l’altra. Poi siamo passati a fare ‘la memoria’ con tutti i ragazzi e le ragazze, ognuno ripeteva le scene in cui appariva: ogni giorno ne ripetevamo tre, quattro, le provavamo sul palco, le impostavamo. Questo lavoro è durato quasi un mese in teatro, poi naturalmente io li ho seguiti sempre sul set, per tutte le sette-otto settimane di riprese”.

Qual’è stato il ruolo più difficile, tra quelli assegnati ai bimbi preparati da lei?

 

“Credo che forse sia stato quello di Ada (Rachele Potrich), che con la sua giovanissima età doveva misurarsi con scene più adulte, più delicate. Lei quattordicenne, che è una ragazzina precisa, intelligentissima, molto professionale, esercitava la memoria, studiava tanto. Certo, rideva anche lei con Flavia (Anna Thaler) quando facevano le prove, anche per un po’ di imbarazzo… ma entrambe erano molto ‘serie’. Per loro era come uno studio, nel senso che volevano arrivare preparate, quindi dopo le prime volte avevano anche un po’ ‘paura’ del set. Si impegnavano molto. Devo dire che Rachele all’inizio era molto molto tesa, in più aveva letto il copione e aveva delle scene più delicate degli altri bambini: il suo era un personaggio un po’ più denso, non era semplicemente la figlia, c’era un’evoluzione, una trasformazione da attraversare. E io sono rimasta davvero sorpresa, perché ha fatto un lavoro incredibile, molto bello. Ma tornando in generale a tutto il gruppo dei bambini, sono felice che dopo, sul set, Maura abbia avuto la possibilità di dirigerli… decisamente più preparati”.

Cosa resta a lei come attrice e come persona dopo questa esperienza?

 

“Anzitutto mi sento assolutamente arricchita nel mio bagaglio professionale e personale. Prima di tutto, per prepararli, è necessario attingere alle scuole che si sono frequentate, ai metodi seguiti, agli stage… E siccome a un certo punto, dopo averne fatti decine e decine, si smette di farne, quando si comincia a lavorare magari se ne fa uno ogni tanto se ti interessa proprio qualcosa in particolare… Quindi io sono andata a ripescare lì, cosa che vuol dire ristudiare di nuovo, ricordarmi tutti gli esercizi, gli appunti che avevano a che fare con la mia formazione attoriale… Una rispolverata che mi ha motivata ancora di più, e veder fare a loro queste cose è stata una grande soddisfazione, una vera lusinga: perché capisci che se riesci a trasmettere ad altri quel che hai imparato e assimilato, vuol dire che sei davvero padrone di quella materia. E poi mi hanno regalato una quantità di affetto gigantesca, impagabile: quando sono partita piangevamo tutti, io e i ragazzini.

Anche quelli che sul set facevano i più ribelli, il più sbruffoni, ormai avevo imparato a conoscerli, anche quando la sera li andavo a trovare a casa, nelle loro famiglie. Dove li ritrovavo senza maschera, in tutta la loro dolcezza. Cosa mi hanno insegnato i bambini di Vermiglio? Mi hanno insegnato i silenzi, mi hanno insegnato a parlare con gli occhi, perché loro non parlavano tantissimo… Tutti i giochi che volevano fare erano nella natura, abbiamo scavato la terra e gli abbiamo messo un telo con l’acqua per fare una piscina, abbiamo costruito una casetta, lontani dal rumore, dai telefonini…. E poi mi hanno insegnato un altro tipo di affetto. Voglio dire che in città siamo tutti apparentemente accoglienti, a Roma ad esempio, dove io vivo, ti senti spesso dire ‘ma certo, ti aiuto io, fratello’… ma poi, al fondo, le amicizie te le devi molto scegliere. Invece loro sono il contrario, sono molto diffidenti all’inizio, non ti fanno entrare, gli basta quello che già hanno. Non hanno smanie o curiosità ‘sull’altro’, ce l’hanno più sulla loro famiglia, sulle loro cose. Quindi quando tu entri nel loro mondo, ci entri davvero: ogni giorno mi portavano un bigliettino con una dedica, con dei disegnini, mi hanno regalato delle collanine… Luis, che intaglia il legno, mi ha regalato dei piccoli coltellini fatti da lui con sopra intarsiato il mio nome… e adesso mi telefonano e mi dicono ‘mi manchi’… Mi hanno svelato che esiste un altro tipo di infanzia, di come si può crescere lontani dal caos della metropoli”.

Breve filmografia di Alessia Barela:
C’è ancora domani di Paola Cortellesi / Due Cuori Due Capanne di Massimiliano Bruno / Il ministro di Giorgio Amato / Sette giorni di Rolando Colla / Io e lei di Maria Sole Tognazzi / Il venditore di medicine di Antonio Morabito / Viaggio sola di Maria Sole Tognazzi / Velocità massima di Daniele Vicari ////  Serie TV: Adorazione di Stefano Mordini / Nero a metà di Marco Pontecorvo / La porta rossa di Carmine Elia / Tutti pazzi per amore di Riccardo Milani / La Squadra di Stefano Sollima, Giampaolo Tescari / Una mamma imperfetta di Stefano Chiantini
autore
22 Novembre 2024

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