La trionfale storia del Marvel Cinematic Universe, coi suoi eroi e le sue fantasticherie, padroni del box office per almeno 10 anni, è mutata. Non è più quella di calzamaglie e tentati adattamenti, con l’emozionante sfida di rendere credibile l’impossibile a fumetti. È invece, oggi, il racconto di una crisi. Lì dove in passato Hollywood avrebbe cambiato lido, cercando altrove la miglior soluzione per la propria sopravvivenza, Disney/Marvel ha scelto una via diversa, giocata a viso aperto. Gli spettatori hanno fame? Dategli un cameo. Se non c’è più spazio per l’epicità plastica di Endgame, dove nel 2019 gli Avengers attraversavano lo schermo in un’ultima leggendaria avventura (si può disquisire sulla qualità delle singole pellicole Marvel, ma non che all’epoca ci si prendesse molto sul serio), allora è tempo della parodia, perché fatta in casa è ancora meglio, e del rimescolamento senza pari (“AKA Multiverso”). Ed ecco che si giunge, in maniera quasi obbligata, a un film come Deadpool & Wolverine (in sala dal 24 luglio), terza venuta del “Marvel Jesus”, tale perché il Mercenario Chiacchierone ha il permesso di sfondare la quarta parete e – ora che è parte dell’MCU grazie all’acquisizione di Fox da parte di Disney – di dire le cose come stanno. Disney fa suo un personaggio minore (il primo film fu prodotto su preghiera di Ryan Reynolds, unico davvero a crederci) e anticipa lo spettatore. Lo prende in contropiede; lo coccola come non mai, anticipando addirittura le critiche, con un gioco di retorica di “ciceroniana” maestria. Deadpool guarda in macchina, ammicca. “Lo so che siete stanchi del multiverso – afferma – ma sono stati anni difficili per Disney”. La risata è immediata e lontanissima appare l’era dell’epica supereroistica, dove persino un personaggio gigionesco come Tony Stark/Iron Man finiva per prendersi tremendamente sul serio.
Deadpool & Wolverine è una strana creatura. In due ore fa quello che ad altri titoli non è riuscito in tre. Prima di tutto gioca, appunto, a carte scoperte, spingendo agli estremi le caratteristiche già messe in scena dal personaggio nei primi due film. Poi, mette in scena una festa. La grande, ultima, festa Marvel dedicata alla storia cinematografica di questo genere, riavvolgendo gli avvenimenti di tutti i franchise nati e morti negli ultimi 24 anni. Tutto questo, con la presunzione di rilanciare al contempo il genere e la passione per le calzamaglie. Un’opera assai laboriosa – e forse un po’ testarda – che potrebbe rappresentare il rilancio del secolo o un fallimento da libri di storia del cinema. In qualunque caso, per gli appassionati delle vicende hollywoodiane, è qualcosa senza precedenti, come d’altronde lo è l’intero Marvel Cinematic Universe.
Con un’idea di sceneggiatura abbastanza esile, resistente il giusto per adagiarci sopra una sequela di personaggi senza soluzione di continuità, Deadpool & Wolverine è un buddy movie che richiama in servizio Hugh Jackman nel ruolo che lo ha reso famoso al mondo e che aveva abbandonato nel 2017. “Lo farai fino a 90 anni” gli dice Deadpool (non c’è critica, o battuta, che il film non anticipi). Il rapporto tra Reynolds e Jackman è un buon sostegno all’avventura ed entrambi sembrano crederci come non mai, anche quando è evidente che il film abbia poco da raccontare per chi è in cerca di un semplice film d’intrattenimento.
Il cuore della pellicola è infatti in tutt’altro, e in particolare nell’idea del “Vuoto”, la discarica del multiverso in cui i nostri vengono spediti dai controllori della “Sacra Linea Temporale”. Deadpool e Wolverine scoprono che è qui, in un luogo dimenticato da Dio (Kevin Feige? Qualche altro produttore di Hollywood?), che vanno a morire gli eroi per cui non c’è più spazio. Senza spoiler – il film vive molto della meraviglia di chi riconosce a uno a uno le vecchie glorie a lungo lontane dagli schermi – Deadpool & Wolverine è la festa di questi personaggi, finalmente meritevoli di un loro finale. Alcuni sono davvero insospettabili e vengono da un tempo in cui i cinecomics erano un’altra cosa. Già in Spider-man: No Way Home si erano scomodati personaggi e attori di un tempo passato. Ma questo è un passo successivo e conferma il multiverso come terra delle possibilità, paese dei balocchi per chi conosce ogni singolo riferimento messo in scena.
La direzione metacinematografica che Marvel ha intrapreso da qualche anno è un compendio della crisi degli Studios e dell’intrattenimento contemporaneo. La crisi del cinecomic è un nuovo genere, ancora più esclusivo della sua fonte. Se infatti i supereroi hanno sempre diviso il pubblico tra fan e neofiti, con la rivincita dei primi – un tempo “i nerd” – chiamati a spiegare ogni minimo dettaglio e riferimento, qui siamo all’estremo, e senza una mappa che dia profondità ai personaggi in scena è difficile sentirsi coinvolti. Ovviamente Disney/Marvel non ha lasciato nulla al caso e nonostante la regia di Shawn Levy sia di mestiere ma non eccezionale – lontani dai lavori di James Gunn per l’MCU – molto del coinvolgimento viene da una commistione di musiche (alcuni pezzi salvano intere scene ed è forse Madonna la vera supereroina del film), monologhi emotivi e tante – davvero tante – camminate in ralenti.
Non un film del Marvel Cinematic Universe, ma un film sulla Marvel. Sulla storia che ha portato fino a qui, con un po’ di nostalgia per tempi forse più naive, ridicoli allo sguardo disincantato di un presente in cui a un “Marvel Jesus” è ormai concesso di tutto. Lo spettatore può solo accettare o no le nuove regole del gioco, consapevole della loro temporaneità. Perché la vera sfida Marvel inizia adesso, con un arduo lavoro per ricucire quella quarta parete.
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