“Sono cresciuto a Miami, dove la maggior parte della popolazione è ispanica, e io ero uno dei pochissimi ragazzi ebrei nel mio liceo. Non ho mai subìto pregiudizi evidenti, ma solo la sensazione di essere fuori posto. Quindici anni dopo, nella New York post 11 settembre, guardando un musulmano in abiti tradizionali in metropolitana, il mio primo pensiero è stato ‘sarà un terrorista?’. L’ignoranza nascosta in quel pensiero mi ha spinto a saperne di più sulla cultura islamica”, l’ha dichiarato Joel Fendelman, regista del film David in concorso nella sezione Alice nella città del Festival di Roma. La pellicola racconta la difficile convivenza tra la comunità ebraica e quella musulmana attraverso gli occhi di due ragazzi di 11 anni a Brooklyn, uno figlio dell’Imam della moschea del quartiere e l’altro ebreo della comunità ortodossa.
“Ho passato l’anno successivo a fare volontariato presso la Arab American Association a Bay Ridge (Brooklyn) – ha continuato il regista – dove insegnavo inglese a donne musulmane immigrate e coordinavo un gruppo di giovani durante l’estate. E’ stata una delle esperienze più importanti della mia vita: è qui che ho compreso fino in fondo quanto i miei pregiudizi di ebreo e americano fossero falsi. Insieme con il co-sceneggiatore Patrick Daly abbiamo impiegato un anno per scrivere la storia di questo bambino di 11 anni palestinese, probabilmente la cultura più alienata negli Stati Uniti di oggi, che cerca di adattarsi alla nuova cultura”.
Sono due le zone di Brooklyn che si vedono nel film: Bay Ridge, a maggioranza musulmana palestinese, e Park Borough, un quartiere ortodosso ebraico. “Le due zone sono adiacenti: uomini in abiti musulmani ed ebrei ortodossi vestiti di nero praticamente percorrono le stesse strade quotidianamente. In un certo senso quest’area della città è la prova che la convivenza pacifica è possibile, a differenza di quanto avviene oggi in Israele. E’ in questo luogo speciale di cross-over che ho deciso di ambientare David“.
Fendelman ha trascorso anche un mese nella città vecchia di Gerusalemme. “Durante questo periodo, ho imparato molto sulla parola ‘identità’. Il modo in cui viene utilizzata può alterare la percezione di noi stessi e degli altri”.
I due giovanissimi protagonisti del film, che all’inizio pensavano fosse impossibile lavorare fianco a fianco con un ragazzo di religione diversa, ora hanno cambiato idea e sono grandi amici su Facebook.
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