La fine di una guerra non vuol dire l’inizio della pace, né tantomeno il ritorno della serenità. Parla proprio di questo Darkling, produzione italo-serba che uscirà nelle sale italiane il 21 aprile distribuito da A_Lab in collaborazione con Lo Scrittoio. Diretto da Dusan Milic, il film è ambientato nel Kosovo del dopoguerra: qui la maggior parte delle famiglie serbe e albanesi sono state sfollate e le poche che rimangono devono convivere con un perenne senso di paura.
Al centro della vicenda c’è proprio una di queste famiglie. Il nonno Milutin attende il ritorno del primogenito e del marito della figlia Vukica, scomparsi da molto tempo, intanto la nipotina Milica ogni giorno si reca a scuola in un mezzo blindato guidato da truppe italiane della NATO. I problemi arrivano la notte: quando cala l’oscurità, infatti, ogni più piccolo rumore proveniente dal fitto bosco che circonda la loro casa instilla il terrore nella mente dei componenti della famiglia.
Fondamentali, nel restituire il disagio e il terrore che divora da dentro, sono le interpretazioni dei protagonisti. L’esperto attore serbo Slavko Stimac si cala alla perfezione nei panni dell’uomo provato da anni di guerra, costretto a vedere distrutti i luoghi che lo hanno visto crescere e maturare, incapace di accettare il lutto che permea ogni cosa. La piccola Miona Ilov non avrà la sua esperienza, ma ha due occhi grandi e intensi capaci di restituire il dolore di un’infanzia strappata via. Infine c’è la splendida Danica Curcic, nel ruolo di figlia comprensiva, madre amorevole e moglie senza marito, che trova nelle carezze e negli sguardi dolci del soldato interpretato da Flavio Parenti, quel briciolo di umanità che aveva forse dimenticato.
Il regista dirige il film connotandolo con il linguaggio tipico del thriller psicologico e, a tratti, dell’horror. In questo senso va la scelta di utilizzare delle frequenti “false” soggettive che inquadrano i protagonisti da lontano, come se qualcuno, nell’ombra, li stesse perennemente spiando. Milic sfrutta la luce con sapienza, lasciando che le figure emergano dall’oscurità, luogo effettivo e simbolico in cui si trovano i protagonisti, costretti in quella “che non è più vita”.
“Nella mia storia il nemico non è mai visibile, anzi è come se non esistesse. – dichiara il regista – La mia intenzione era quella di creare qualcosa di più di una metafora e di uno stile da film d’autore. La cosa più spaventosa è la paura che attanaglia la mente dei protagonisti: è giustificata o è solo immaginazione? Questa storia parla dei mali che non possono essere scissi dal nostro essere; la paura primordiale dell’oscurità e di ciò che in essa si nasconde. Cosa c’è da aspettarsi quando cala la notte e andiamo a dormire? Quello che vediamo forse non è la realtà”.
Ma mentre il male è invisibile, nascosto più nella mente dei protagonisti che nella vegetazione attorno a loro, il genocidio della popolazione serba è una realtà quanto mai visibile. Una tragedia nascosta e dimenticata, su cui l’autore cerca di gettare una luce, per quanto fioca come quella di una candela scossa dal vento.
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