In tempi di Jobs Act e di attacco all’articolo 18, il nuovo film di Luc e Jean-Pierre Dardenne Due giorni, una notte piomba nel bel mezzo di un dibattito sempre più infuocato. Per i due registi belgi, a Roma per parlare della pellicola che sarà in sala con la Bim dal 13 novembre a Roma e Milano, mentre nel resto d’Italia uscirà il 20 in circa cento sale, questa storia interpretata da Marion Cotillard parla di “un territorio sociale selvaggio che, grazie alla paura dei licenziamenti, mostra l’assenza di ogni solidarietà tra i lavoratori. E così, come fa la protagonista Sandra, si cerca di salvarsi da soli”. La crisi finanziaria e i suoi effetti nella vita delle persone comuni, la perdita improvvisa del lavoro o il rischio concreto di perderlo da un momento all’altro, la totale assenza di tutele sindacali e la guerra di tutti contro tutti sono realtà che Due giorni, una notte affronta con il realismo tipico dei due autori, anche se stavolta c’è una diva come protagonista, ma perfettamente aderente al loro metodo di lavoro.
Indicato dal Belgio come possibile candidato agli Oscar, il film racconta la storia di Sandra, una giovane operaia che ha un fine settimana per convincere i suoi colleghi a rinunciare a un bonus di 1.000 euro: se lo faranno, lei terrà il posto di lavoro, altrimenti lo perderà.
Il film, insieme al precedente “Il ragazzo con la bicicletta”, sembra segnare una svolta nella vostra filmografia. Pur restando coerenti per i temi affrontati e lo stile realista, avete scelto di lavorare con due attrici famose: Cécile De France nel primo e Marion Cotillard in questo caso.
Luc. Non abbiamo mai detto adesso cambiamo. Continuiamo a fare le stesse cose e Marion, come Cécile, è entrata nella nostra ‘famiglia’ e ha portato il suo contributo, ma il nostro metodo di lavoro è sempre lo stesso.
Siete partiti da un’esperienza diretta per costruire questa vicenda in qualche modo esemplare sul tema della solidarietà?
Jean Pierre. Non c’è stato, come punto di partenza, il caso di qualcuno che conosciamo, ma una notizia che avevamo letto una decina di anni fa, su un operaio che, a causa delle sue assenze e di un periodo di debolezza, era stato licenziato con l’assenso dei colleghi in un reparto della Peugeot, i colleghi ritenevano che con la sua scarsa produttività avesse impedito anche agli altri di ottenere il premio di produzione e non l’avevano difeso. Situazioni analoghe si sono verificate anche altrove. Quello che ci ha interessato in queste storie è la mancanza di solidarietà.
Il film pone un aut aut agli operai: rinunciare o non rinunciare al bonus. Eppure avrebbe potuto esserci una terza via, salvare il posto di lavoro e anche il bonus, attraverso una contrattazione sindacale.
Luc. La terza via è quella dello spettatore. Sandra non è una donna forte, è fragile, esce da una depressione e alla fine del percorso troverà la fiducia in se stessa attraverso la solidarietà dei colleghi compiendo un gesto coraggioso. Si può certamente immaginare un mondo in cui tutti gli operai si ribellano e scioperano, anche se sarebbe strano in una fabbrica così piccola, con appena venti dipendenti. Abbiamo voluto fotografare una situazione di assenza di solidarietà, peraltro oggi così diffusa. La solidarietà si sviluppa facilmente in situazioni floride, dove ci sono molte garanzie, ma questi lavoratori sono tutti in uno stato di incertezza, guadagnano poco, hanno paura, e così è tutto più difficile.
Perché avete scelto di raccontare proprio il personaggio di Sandra, una giovane donna che sta uscendo da una depressione e che è particolarmente fragile, con i nervi a fior di pelle?
Jean Pierre. Per noi la cosa più importante era mostrare una persona che viene esclusa perché è considerata debole, non in grado di fornire prestazioni sufficientemente elevate. Ma per esprimere di più, spesso bisogna mostrare di meno. Così la nostra macchina da presa ha cercato la giusta distanza per dare conto del suo vissuto ma senza isterizzare, come spesso tende a fare il cinema.
Cosa volete comunicare agli spettatori?
Luc. Innanzitutto un’esperienza umana. Sandra si libera dalle sue paure, dalla diffidenza verso gli altri, alla fine del film è cambiata. Non so se questa sia un’utopia, piuttosto è una trasformazione e vorrei che anche gli spettatori, vedendo il film, si ponessero delle domande e si mettessero in discussione. Il nostro è un elogio della fragilità.
Cosa pensate delle riforme del lavoro che puntano sulla flessibilità e diminuiscono le tutele?
Jean-Pierre. La sicurezza sociale è un valore fondamentale della democrazia, va mantenuta. E’ improponibile smantellare il contratto a tempo indeterminato condannando le persone a una costante incertezza.
Il regista australiano, è noto per il suo debutto nel lungometraggio con il musical 'The Greatest Showman'
Recente la scoperta delle origini della madre, Rosa Nespeca, che avrebbe trascorso la sua giovinezza nel Piceno. In corso i tentativi di invitare Zemeckis nelle Marche
L’iniziativa è organizzata dall’associazione culturale Made in Italy presso il multisala Votiv Kino insieme alla casa di distribuzione austriaca Filmladen e l’Istituto Italiano di Cultura di Vienna, con il contributo del Ministero della Cultura
Nessuna spiegazione ufficiale è stata fornita per l'assenza del celebre cineasta alla proiezione di gala organizzata dall'American Film Institute