E’ un momento complicato per chi fa cinema. Ci si ritrova, nel trambusto generale, a montare una serie tv con quattro persone dislocate in quattro case diverse. E’ quanto racconta a Cinecittà News Daniele Vicari, che sta ultimando la lavorazione della serie L’alligatore tratta dai romanzi di Massimo Carlotto e da lui diretta, con la produzione di Domenico Procacci (la messa in onda è prevista per il prossimo autunno). Il regista che ha portato sullo schermo lo sbarco dei profughi albanesi in Italia ne La nave dolce, il massacro alla Diaz al G8 di Genova in Diaz, la fatica di chi muore di lavoro ogni giorno in Sole, cuore, amore e firmato il romanzo Emanuele nella battaglia per Einaudi, in questi giorni sta organizzando una serie di iniziative online. Lo scopo è ricordare Emanuele Morganti, ventenne vittima del delitto di Alatri nella notte tra il 24 e 25 marzo 2017, ma anche aprire un discorso di recupero collettivo di umanità a cui nessuno deve rinunciare, specie nel periodo complesso che viviamo: “In quest’emergenza siamo tutti vittime di qualcosa. Imprigionati in casa per il Coronavirus ci sentiamo senza passato e senza futuro, dimenticandoci che siamo esseri storici. Senza la nostra storia siamo nulla. Forse ora possiamo capire che la più grande ingiustizia contro le vittime della violenza è considerarle semplicemente “vittime”, cartoline illustrate attorno a cui sviluppare discorsi: Ricordiamo Emanuele Morganti nasce proprio per ricordarci la sua umanità, e la nostra”. Valerio Mastandrea, Fabrizio Gifuni, Michele Riondino, Vinicio Marchioni sono solo alcuni dei nomi coinvolti in letture postate sui social network dello stesso Vicari, mentre Einaudi mette a disposizione una pagina ufficiale su Facebook per ospitare ricordi e dediche degli utenti a Emanuele. La voglia di farne un film per il cinema, nel frattempo, inizia a emergere, con tutte le riserve del caso.
Recuperare e ricordare il passato per dare un senso all’insensato presente che stiamo vivendo: è questo il senso della sua iniziativa dedicata a Emanuele Morganti?
Non volevo far passare sotto silenzio la ricorrenza tragica della morte di Emanuele e riflettevo su come il virus ci abbia tolto uno strumento di comprensione di noi stessi: nessuno può avere un futuro se non ha chiaro il proprio passato. E’ sbagliato dire che conta solo il presente, persino in una fase di emergenza come questa, importa anche ciò che siamo stati. L’iniziativa online per Emanuele nasce per questo, è basata su una condivisione profonda da parte di attori e artisti che hanno deciso di stare dentro al racconto per restituire tutta l’umanità di Emanuele.
Perché sulla vicenda di Morganti, che conosceva personalmente, ha voluto firmare un libro e non un documentario?
Ho visto cineasti che si dedicano al documentario costruire e dirigere ciò che mettono di fronte alla macchina da presa come fosse finzione, sfruttando la potenza della realtà senza accettare di non modificarla, anzi finendo per manipolarla. Quando succede un fatto come quello che ha travolto la famiglia Morganti l’esplosione mediatica incombe e travolge tutti, ho pensato: «Se vado io con la telecamera che differenza c’è tra la mia e quella dei giornalisti?». Ho deciso di non filmare e non prendere appunti. Prima della pubblicazione del libro ho letto quello che avevo scritto a tutti i testimoni per essere sicuro di non aver travisato nulla. Con un documentario non sarei stato in grado di far dimenticare alle persone di essere di fronte al mezzo di rappresentazione.
Sta pensando di farlo, ora che il libro è uscito, un film?
Ci sto pensando, sì. Tutti me lo chiedono, un po’ perché faccio il regista, ma anche perché ritengono che il racconto cinematografico possa restituire alla vicenda una potenza diversa. Come Diaz sarebbe un film sulla violenza del branco, anche se lì si trattava di un organismo pubblico…In entrambi i casi si tratta di esercizio del potere: quale forma di potere più grande c’è di chi può toglierti la vita? Ma ancora non ho focalizzato bene, perché potrebbero uscire decine di film diversi da questo libro, devo ancora prenderne le distanze e capirlo.
Nel frattempo sta montando L’alligatore. E’ stata stimolante l’esperienza per lei inedita di dirigere una serie?
Non c’è nulla di diverso dal fare un film, se non che in una serie la persona più importante è il produttore con le sue scelte, più che il regista. E’ stato interessante sperimentarmi su un territorio inesplorato in cui ho cercato di trovare me stesso in un meccanismo più grande di me. L’esperienza di montare una serie con quattro montatori in quattro case diverse, poi, è oltre il surreale. Siamo in tema, dopo tutto: i racconti di Carlotto da cui la serie è tratta sono fantastici, ambientati in un mondo che non esiste ma che è probabile… Muovermi tra ciò che può essere vero e ciò che può essere frutto di immaginazione mi ha fatto sentire molto libero.
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