Daniele Segre


Un documentario su una realtà nascosta. Di cui la stampa si è occupata poco (se si esclude il bell’articolo di Alberto Crespi su “l’Unità” del 17 luglio). Che vede 154 operai senza salario da settembre del ’99 che rischiano il prossimo 18 settembre di perdere il lavoro. È quello girato da Daniele Segre in Sardegna alla fabbrica Scaini di Villacidro, cittadina industriale di 16.000 abitanti vicino Cagliari, le cui riprese sono finite il 19 luglio. Non ha ancora un titolo. Girato in digitale, durerà circa un’ora. La struttura? “Le mie sono storie in diretta, vissute senza intermediari dai protagonisti. Dimenticatevi il reportage televisivo”, precisa il regista, nato ad Alessandria nel ’52.
Appena sentita la notizia al T3 nazionale di sei lavoratori che avevano occupato l’azienda e dormivano su un serbatoio di gas propano, Segre si è precipitato sul posto con l’operatore Franco Robust, che con lui ha firmato altri due documentari, Crotone Italia sull’occupazione dell’Enichem, del ’94, e Dinamite sui minatori del Sulcis. Dal 25 luglio, Segre si è precipitato a filmare anche la tragica situazione del quotidiano “l’Unità”. Un estratto del film, intitolato Via due Macelli, Italia-sinistra senza Unità, sarà presentato alla Mostra del Cinema di Veneziafuori programma.

Quella di partire per la Sardegna è stata una decisione improvvisa. Cosa l’ha spinta?
Io vivo di impulsi. Così sono nati anche i miei precedenti documentari. A volte ci sono fatti che accadono all’improvviso ma che sono al di fuori dello spazio e del tempo. Non sono episodi locali. Quello accaduto in Sardegna riguarda il mondo del lavoro in generale. Non è un caso che si verifichi nel periodo che stiamo attraversando, quello della globalizzazione, e che succeda al Sud. A stimolarmi è stato il volto di un operaio che chiedeva aiuto. Era coperto, mascherato. Non possono accadere queste cose in un paese civile. Mi sono documentato per capire dove avveniva il tutto. È stato difficile, sui giornali il giorno successivo non è stato pubblicato nulla. Niente neppure su Internet. Ho avuto notizie grazie alle mie amicizie nel mondo del sindacato. Così sono partito.

Come è stato accolto dagli operai?
Li avevo avvertiti del mio arrivo e mi aspettavano all’aeroporto di Cagliari. Tre quarti d’ora dopo eravamo in azienda. Mi sono presentato con discrezione. E ho detto loro dell'”uomo mascherato”, cosa che non ritengo utile né per il movimento degli operai, né per la Sardegna. Abbiano parlato e due ore dopo avevo la loro totale disponibilità. Ho preteso – e l’avevo chiarito già per telefono – di dormire con loro. Non mi considero un turista. Intendo dare loro visibilità. E ho trascorso quattro notti sui bomboloni di propano, sopra i quali abbiamo piantato la tenda.

E com’è dormire sul propano?
Fa un po’ impressione. Si tratta di grossi ordigni, sembrano siluri. Sono disposti sotto una piattaforma, una specie di griglia. Abbiamo dormito sopra ai cartoni.

L’obiettivo di questa operazione?
Avvicinare mondi apparentemente distanti che per motivi di insufficienze culturali, sempre più drammatiche, rimangono distanti. Il cinema ha come dovere sacrosanto di costruire le condizioni per ragionare meglio. Dobbiamo ribadire il senso della dignità umana, quando viene calpestata in modo brutale. La dignità individuale è un valore assoluto, che non può essere messo in discussione. La crescita del benessere deve consentire di vivere sempre più come persone, non come macchine. Bisogna fare i conti con i tempi in cui viviamo, ma al centro deve rimanere la figura umana. Questo non si può barattare. Altrimenti svendiamo tutto. E per chi? Si rischia di perdere anche la voglia di vivere. Al punto di aver paura e coprirsi il volto come terroristi. Non possiamo permettercelo.

Gli operai vedranno il suo film?
Saranno i primi a vederlo. Se loro approveranno, allora lo renderò pubblico.

autore
27 Luglio 2000

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