Daniele Segre


I giovani di oggi si guardano allo specchio attraverso una telecamera e raccontano le loro aspirazioni, le loro paure, il loro approccio nei confronti della vita, del lavoro, della famiglia nel documentario L’amorosa visione – Percorsi giovani di incontro e di abbandono, di cui il regista Daniele Segre ha firmato la direzione artistica. Nato da un progetto formativo promosso dalla Provincia di Macerata in collaborazione con l’IRRE Marche e finanziato dal Fondo Sociale Europeo, il film è una carrellata di volti – catturati da primi e da primissimi piani – che si espongono, si svelano e si confessano, rappresentando le molte sfaccettature di una generazione incerta. C’è che si sente travolto da un “inganno globale” e chi ha paura del futuro e del tempo che passa, chi ama la sua “diversità” e chi non vorrebbe far parte di questo “mercato del lavoro” che, appunto, riduce gli uomini a pura merce. Presentato a Roma il 17 aprile scorso, il Dvd de L’amorosa visione sarà disponibile prossimamente nelle scuole.

Segre, come si è sviluppato questo progetto? Qual era il suo obiettivo?
L’amorosa visione è il risultato di un innovativo percorso di formazione realizzato con il coinvolgimento di studenti dai 18 ai 30 anni delle scuole superiori, dell’Accademia e dell’Università. 16 di loro sono stati selezionati per diventare ‘registi’ e cogliere le emozioni dei loro coetanei attraverso il cinema. Sono stati formati all’uso della telecamera digitale e alla realizzazione di interviste narrative e poi sono andati alla ricerca di quei ragazzi e quelle ragazze che, intervistati, sono diventati i protagonisti del documentario.

Che ritratto emerge di questa generazione?
La mia interpretazione è che ne esce una generazione a cui sono mancati dei maestri, delle figure che gli fornissero la capacità di precisare una personale strategia per realizzarsi nella vita. Fondamentalmente è emersa una gioventù dominata da una profonda incertezza.

Lo stile minimalista del lavoro, tutto fatto di primi e primissimi piani, è voluto dai ragazzi o da chi li ha guidati?
E’ stata una mia scelta, ed è una scelta caratteristica del mio cinema. Anche il mio Partitura per volti e voci del 1991 era composto di 80 minuti di soli primi piani. Trovo che sia una soluzione espressiva in grado di far acquisire ai ragazzi la giusta sensibilità per spingere gli altri a svelarsi e a vincere la difficoltà di parlare di sé. Dopodiché gli studenti, divisi in 4 troupe, hanno fatto tutto da soli, dalle riprese al montaggio, che io ho solo supervisionato. Il risultato è andato ben oltre le migliori aspettative. Con il materiale accumulato potrebbe tranquillamente venir fuori un “secondo tempo” del documentario.

Presto sarà impegnato su un nuovo progetto di documentario sulle morti bianche.
Sì, sarà prodotto dalla mia società I cammelli in collaborazione con la Fillea Cgil – cioè il sindacato degli edili, la categoria più colpita dagli incidenti sul lavoro – e dovrei girarlo tra luglio e settembre. Sarà strutturato come una sorta di viaggio, da Nord a Sud, composto di interviste narrative che esplorano la realtà di quelle persone che escono la mattina per andare a fare un lavoro di cui hanno bisogno per vivere, e che rischiano di non tornare a casa la sera. Nel mio viaggio sarò accompagnato da Ascanio Celestini, che sarà l’unico personaggio non “reale” della storia.

Che destinazione avrà questo nuovo lavoro?
Vorrei farne una versione in 35 millimetri e possibilmente portarlo al cinema. E’ un progetto che nasce da una vera e propria urgenza di stimolare l’opinione pubblica a un confronto su questioni troppo spesso trascurate, e vorrei che avesse la massima visibilità possibile.

autore
28 Maggio 2007

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