Quindici minuti di applausi per Piedras, film spagnolo in concorso al Festival di Berlino diretto da Ramon Salazar. La storia di cinque donne, raccontate partendo dalle scarpe che indossano, vede tra i suoi protagonisti maschili anche Daniele Liotti, ormai famoso in Spagna quanto in Italia, giunto a Berlino al seguito del film.
“Sono molto lusingato per essere stato chiamato dalla produzione – ci dice Liotti – e questo testimonia anche che la mia interpretazione, per quanto non da protagonista, è stata apprezzata. Il film mi è molto piaciuto ed è piaciuto anche al pubblico qui di Berlino. È una storia universale, nella quale chiunque può identificarsi. Ed anche il mio ruolo è bello, sono un personaggio fragile e vulnerabile, che lascia una donna e s’innamora di un uomo. Spero che il film possa uscire anche in Italia”.
Come è iniziata la tua avventura d’attore in Spagna?
Ero un po’ stufo dei soliti ruoli stereotipati che mi affidano in Italia, e sono andato in giro a cercare altre possibilità Così sono capitato in Argentina dove ho girato un film con Juan Jose Jusid, un caso di cronaca. Forte di questa esperienza ho fatto un giro per le diverse produzioni e sono stato chiamato per quella che doveva essere una piccola parte nel film di Vincent Aranda Juana la loca. Tre giorni prima dell’inizio delle riprese l’attore principale ha dovuto lasciare e hanno deciso di chiamarmi. Il film è stato un enorme successo e mi ha aperto molte porte.
Sono contento di aver lavorato con la vecchia generazione del cinema spagnolo e, adesso, con la nuovissima. Ho potuto conoscere i due estremi di questo cinema e la Spagna ha potuto conoscere i miei differenti registri.
Eri stanco dei ruoli che ti affidavano in Italia?
In Italia non c’è coraggio. Non sono il clone di Bova o di Gassman. Avevo voglia di dimostrare che sono anche un bravo attore. In Italia paghiamo lo scotto della centralità della televisione. I ruoli sono stereotipati. La televisione omologa tutto e non dà la possibilità di diversificare. Chi fa il TG1 fa anche la fiction. Ed anche sulle storie manca il coraggio, soprattutto da parte dei produttori che non vogliono sperimentare diverse forme di narrazione. Le storie parlano sempre di trentenni in crisi e, francamente, non se ne può più.
Ci sarà pure un’eccezione?
Sì ci sono, Ferzan Ozpetek per esempio, con cui mi piacerebbe lavorare. Quello che ho notato lavorando all’estero è che c’è una grande varietà di copioni. Ma la critica è rivolta anche agli attori. Bisogna avere il coraggio di fermarsi e di sapere dire di no.
E ora quali sono i tuoi progetti?
Sta per uscire, per la televisione, Sant’Antonio, diretto da Umberto Marino, e poi il nuovo film di Stefano Incerti, La vita come viene con Stefania Sandrelli, Tony Musante, Valeria Bruni Tedeschi, Claudio Santamaria. E poi ho in progetto la Carmen, sempre con la regia di Vincente Aranda.
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