VENEZIA – Il film-caso, in un festival pieno di violenza specialmente tra le quattro mura domestiche, arriva dalla Grecia con Miss Violence, l’opera seconda di Alexandros Avranas, dove viene mostrato con lo stile minimalista tipico anche di un altro cineasta greco, Giorgos Lanthimos, un pater familias che stupra le figlie (e anche la figlia di sua figlia) nel giorno dell’undicesimo compleanno per poi venderle o “regalarle” agli amici, uomini a volte viscidi, a volte apertamente prevaricatori e violenti. “Una brutta storia che accade accanto a noi e che nessuno vuole vedere”, come dice il cineasta, che sceglie un finale agghiacciante, in cui l’orco viene eliminato ma non il sistema di potere che lui ha costruito e gestito con la connivenza della moglie. Mentre la storia si apre sulla morte di Angeliki, che si getta dal balcone nel giorno della sua festa. Tutto è inquietante tra queste mura: il padre (Themis Panou) impone una disciplina ferrea anche alla madre (Reni Pittaki) che si chiude in camera con strani mal di testa. La figlia maggiore Eleni (Eleni Roussinou) è incinta ma non si sa di chi. L’adolescente Mirtò cerca di ribellarsi ma non ci riesce, i più piccoli Alcmene e Filippo stanno imparando ad adeguarsi.
Una riflessione sul potere, per Avranas, classe ’77, che si è ispirato a fatti accaduti in Germania: “anche peggiori, in base alle nostre ricerche”. Ma respinge le letture metaforiche sul rapporto tra l’Unione Europea e la Grecia in crisi: “Gli assistenti sociali che non vedono o non vogliono vedere rappresentano semplicemente un sistema statale che preferisce non approfondire e rimanere in ruoli standardizzati”. Viceversa, parla di sindrome di Stoccolma, dipendenza tra vittima e carnefice, e stigmatizza una società che non ha spazi per evolversi né veri rivoluzionari.
Themis Panou, il pater familias che alterna freddezza glaciale e gesti affettuosi, ammette: “Ho riconosciuto in me stesso quegli attimi di piacere che si provano esercitando il potere: ho costruito così il mio personaggio, pensando anche a Edipo, e mi sono trovato a mia volta a sottostare al potere di Avranas”. Con i piccoli attori, il regista è stato onesto e aperto: “non ho nascosto nulla, abbiamo letto insieme la sceneggiatura con i loro genitori, che ci hanno dato grande supporto durante le riprese”. E aggiunge: “Sono loro il simbolo dei tanti bambini costretti a sottostare alle regole di una società dura e disperata, lo sfruttamento e la manipolazione che avvengono in un sistema che alcuni chiamano ancora famiglia. Il padre comanda con metodi che non sono molto diversi da quelli usati per manipolare la società. La violenza più efferata è quella del silenzio, del non detto”.
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