VENEZIA – È state definita “la truffa del secolo”, è una storia di finzione basata su fatti reali, con un’indagine tutt’ora in corso. Il fatto di cronaca ha avuto molto eco mediatica, soprattutto in Francia, dove la serie D’argent et de sang – 12 episodi, in anteprima alla Mostra di Venezia – uscirà a ottobre.
Tribunale Distrettuale di Parigi, maggio 2017: la serie comincia qui, con un interrogatorio a Vincent Lindon, nel ruolo di Simon Weynachte, responsabile del “neonato” dipartimento statale asseribile alla Guardia di Finanza italiana – come viene espressamente detto nella serie -, e usato come “controcampo” narrativo, in montaggio alternato, con le sequenze che narrano i pezzi del puzzle della vicenda truffaldina.
Un uomo – l’attore Ramzy Bedia -, il dandy Alain Fitoussi stira amorevolamente delle banconote in una stanza dalla vetrata panoramica su una metropoli, mentre due escort nude sul suo letto si stanno apprestando a lasciare l’albergo in cui il ménage à trois s’è appena consumato nella notte, presumiamo: siamo a Manila, è il 2008, e lui – complici altre due giovani donne, tra cui Élise (Camille Moutawakil) – apre plurimi conti bancari, spacciandole per manager di società di import-export, si tratta di “società fittizie con conti off-shore”. Si stanno disponendo le pedine per una manipolazione dei mercati finanziari.
L’unità di Weynachte nasce reclutando anche civili, “per pensare fuori dagli schemi e non essere prevedibili” di fronte a menti distorte nell’idea della truffa stessa, ma al contempo geniali: Simon, a cui Lindon dona un profilo integerrimo quanto malinconico, ha anche un livello intimo che corre parallelo a quello professionale: è vedovo, vive solo, ma ha una figlia, ventenne, che sente per telefono, è tossica, vive vagabondando o poco meno.
Negli scacchi di questo “gioco” – adrenalinico, misterioso, in cui giustizia, truffa, finanza, paternità, sesso, spostamenti per il mondo e ecologia si inseguono e susseguono, incollando lo spettatore sin dalle prime sequenze – c’è anche la pedina Jérôme Attias (Niels Schneider), “golden boy”, traider, genero di un magnate che, tra una partita a poker e l’altra, conosce Fitoussi e si lascia consapevolmente coinvolgere nella truffa, secondo una “tipica mossa da giocatore d’azzardo”, come spiega Simon Weynachte nell’interrogatorio.
E, maestro della scacchiera D’argent et de sang è Xavier Giannoli, per cui: “l’ispirazione viene da un libro inchiesta su ‘la truffa del secolo’ di Fabrice Arfi: il modo con cui raccontava era già molto spettacolare e già da lì c’era buon materiale per una fiction; è raro imbattersi in una storia così ricca, per storie che fanno anche scandalo”.
È questa una vicenda per cui sembra lecito pensare che il silenzio della politica sia un colpevole, e Giannoli spiega come “bisogna tenere a mente che questo fatto in Francia, e nel mondo, è la più grande truffa mai commessa: non sappiamo ancora quanti miliardi siano stati sottratti per quella che doveva essere una lotta contro il cambiamento climatico. Ci hanno impiegato solo 6 mesi. I truffatori hanno deviato il principio del mercato, sono stati intelligenti e rapidi: non voglio celebrarli, ma non voglio dare un giudizio morale. Cerco di mostrare la complessità. Io sono arrivato con un punto di vista personale, radicale, scrivendo tutti gli episodi: sono 12 ma potevano essere molti di più, considerato il materiale a disposizione; il lavoro è un’opera cinematografica con bellezza e violenza; ho lavorato esattamente con il pathos che avrei messo in un film e ringrazio la Mostra per ospitare una serie e riconoscere che talvolta possa avere la dignità di un film”.
Come si dice, “entrando nei personaggi”, qui per gli attori s’è trattato di misurarsi con persone reali, riconoscibili e secondo Lindon “questo personaggio mi ha attratto perché si pensa di voler fare un ruolo, perché si vuole essere quel personaggio, lì ci sono i miei occhi, la mia testa, la mia voce, e in questo modo posso offrire quello che mi ossessiona, come l’ingiustizia e l’impunità; voglio che gli altri sappiano che io so: l’ho amato perché mi ha permesso di sfiorare la follia, l’accanimento per il bene. È uno di quelli che mi ha appassionato di più in carriera: mi alzavo sapendo che avrei fatto quello che io… avrei fatto, così potevo ridare al mondo quello che io… darei al mondo, è un grande regalo per un attore; un’esperienza indimenticabile. Di solito non amo essere diretto, ma Xavier mi piace mi diriga”. Poi, continua spiegando che per un attore: “ci sono due tipi di ruoli: composizione e incarnazione, e io non voglio piacere, mi interessa quando c’è un rapporto tra il personaggio e l’attore; le due parti devono guadagnarne; io voglio uscire da un film sentendomi mosso da qualcosa, come un irraggiamento. In questo film so quello che sono e ‘sono contento di riparare il mondo’, non è frase migliore da pronunciare, e questa mi ha accompagnato, come un filo conduttore per me. Questo è uno dei ruoli più interessanti perché mi ha portato oltre il ruolo stesso”.
Per Bedia è stato “un personaggio libero. È stato facile? Non così facile ma è qualcosa che ho dentro di me, è stato un po’ faticoso tenerlo addosso per un anno, ma è qualcosa di rilassante, paradossalmente: Giannoli mi ha dato fiducia e lasciato fare, e se non fossi stato attore forse sarei potuto essere un po’ quel personaggio”.
Per Olga Kurylenko la sua “Julia cerca la bella vita, io sono il contrario del mio personaggio: lei è ossessionata dalla notorietà! Incontra questo uomo, non cerca tanto l’amore: la rende felice l’apparenza. Però alla fine, con questo stile di vita, c’è illusione, dispiacere: finisce per capire che la faccenda è grave, ma non può più sottrarsi. È un personaggio interessante da interpretare”.
La serie uscirà in Francia, su Canal+, a ottobre.
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