Per i suoi vent’anni, Alice nella Città ha fatto ai suoi ragazzi (e si è fatta) un regalo speciale: portare a Roma uno degli attori Hollywoodiani più amati e, soprattutto, più legato alla Capitale: Russell Crowe. Il giorno prima della presentazione del suo nuovo film da regista, Poker Face, all’Auditorium della Conciliazione il grande attore sì è speso in una Masterclass aperta principalmente agli studenti di cinema (gli unici a cui era concesso fare domande), che si è presto trasformata in un vero e proprio discorso motivazionale con frasi del tipo: “Non c’è coraggio nello stare seduto sulla poltrona di casa ad aspettare che l’occasione suoni alla tua porta”.
L’attore ha disertato il palcoscenico, ignorato i moderatori, e ha sudato sette camicie girando instancabilmente per tutta la sala, ha professato il suo verbo, ascoltato con attenzione le voci dei giovani interlocutori e atteso con ironica impazienza che la traduttrice facesse il suo, eccellente, lavoro.
L’inizio è stato dedicato a una breve presentazione del vero se stesso, “non quello propinato dai media di Hollywood”. “Da adolescente ho iniziato a scrivere e cantare canzoni, – racconta – ho fatto teatro e musical. Ho fatto Grease e 415 rappresentazioni di Rocky Horror Pictures Show, e allo stesso tempo facevo il dj e il barman. In qualche modo cercavo che il mio lavoro si intrecciasse sempre con il mondo dello spettacolo. Ero ossessionato dalla performance. Il primo film l’ho fatto a 25 anni, quando avevo già fatto 2mila performance live alle spalle. Ci sono persone fortunate che hanno questa passione nel proprio cuore. Ci sono un sacco di persone che non sanno dove spendere le loro energie. Se sei una persona passionale, devi accettarlo. Sei davvero fortunato perché puoi comprendere la condizione umana a un livello più intimo”.
Momento apicale dell’incontro è stata la riproposizione dell’intensissima scena de Il Gladiatore in cui Massimo, dopo un lungo viaggio, torna a casa e trova la moglie uccisa. “Lì scopre di avere fallito. – spiega – Parto da lontano mi fermo e comincio a piangere, e sento così tanto questa disperazione che il muco inizia a colare, che è appiccicoso e crea una ragnatela nelle mie mani. Mi avvicino ai piedi e li bacio. Ridley grida: taglia! È sconvolto, dice che è stato incredibile, sorprendente, ma adesso devo farlo di nuovo”. È questa una delle chiavi del successo per un attore: “si chiama performer perché c’è l’aspetto del controllo. Devi essere il burattinaio di te stesso. Devi essere in gradi di ripeterti ancora e ancora. Il regista ha bisogno che tu lo faccia e tu devi farlo tutte le volte che vuole, sempre cercando di farlo più o meno uguale alla volta prima”.
Un aspetto fondamentale di questo mestiere è superare la sindrome dell’impostore, aiutarsi reciprocamente, perché “nel cinema valgono solo due regole: i dettagli e la collaborazione”. L’esempio arriva ancora dal film che gli valse l’Oscar nel 2001. Joaquin Phoenix, appena dopo la prova costume, sentendosi fuori luogo andò da Ridley Scott dicendo: “oh Ridley non credo di essere nel posto giusto, – Crowe imita la tipica parlata di Phoenix nell’ilarità generale – ho visto i costumi, io sono solo un ragazzino della Florida, non me la sento di indossare quel costume da gelataio e salutare le persone”. C’è voluta mezza giornata per convincerlo, conclude Crowe, “ma alla fine è entrato nel costume e ha fatto quella cazzo di performance straordinaria che tutti avete visto”.
Crowe ne ha anche per Ridley Scott, soprattutto nel suo rapporto con gli attori: “La prima volta che ho lavorato con Ridley è stata è un’esperienza terribile, ma poi ha imparato tanto, è cresciuto e ora, a detta ti tutti, è fantastico lavorare con lui. Non è importante che il regista capisca i meccanismi della recitazione, è importante che usi gli attori di cui si fida”.
Per concludere c’è spazio per una delle sue più controverse interpretazione quelle di Javert in Les miserables. “Quella esperienza è stata una delle più belle della mia vita. Ogni giorno circondato da un grande cast e dalla musica, è stato per me magico. Purtroppo non mi piace come è stato messo in scena il mio personaggio nel film, hanno sbagliato qualcosa in post-produzione. Ho amato girarlo, ma non mi piaccio in quel film. Io faccio schifo in quel film!”
Con questa sincero atto di modestia termina un incontro in cui il grande divo è stato ancora una volta un vero mattatore. Un performer che, come lui stesso ha ammesso, vive per stare sul palcoscenico e che ama il contatto con il pubblico. Un amore che il pubblico, soprattutto quello romano, gli restituisce con trascinante autenticità.
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