Cronenberg: voyeurismo, ossessione o bisogno intimo? ‘The Shrouds’ ispirato dalla scomparsa della moglie Carolyn

Il regista canadese, 81 anni, porta in Concorso – protagonisti Vincent Cassel e Diane Kruger - un film dall’idea originale e autobiografica, disturbante e poco rassicurante


CANNES – Un corpo fluttua, un insetto luminoso lo sorvola (e non tarda a evocare La mosca). Un uomo – Karsh, Vincent Cassel – lo osserva, il dolore è scritto sul suo volto, gli occhi sono umidi, lui grida. Stacco. Lo stesso uomo è seduto sulla poltrona del dentista, in fase operatoria.

È proprio il medico a introdurre con una banale conversazione interlocutoria l’informazione primaria, quella della dipartita di Rebecca (Diane Kruger), la moglie di Karsh, uomo d’affari senza uno spiraglio di consolazione per la perdita di lei, tanto da creare la propria personalissima elaborazione del lutto: GraveTech. È una tecnologia affascinante quanto discutibile, che permette di guardare i corpi dei defunti – attraverso videocamere installate nelle lapidi –, vedere in tempo reale i sudari dei propri cari, concetto che dà titolo al film, The Shrouds, in Concorso, regia di David Cronenberg.

Karsh – esattamente come il Guido Anselmi di Mastroianni in 8 ½ era Fellini, il suo alter ego – non lascia spazio al dubbio: il volto, l’acconciatura, l’espressione di Cassel sono il calco di quelli di David Cronenberg; dunque, Cronenberg s’è voluto mettere in scena, e lo ammette. È un film “sulla vita e sulla morte, di cui tutti abbiamo fatto esperienza, perdendo qualcuno: ho cominciato a pensare a questo film dopo la morte di mia moglie Carolyn, siamo stati insieme 43 anni. Ho sentito il bisogno di una storia che non è davvero una biografia ma sull’esperienza della perdita. È il mio film più autobiografico, fare questo film era un’esigenza”, spiega Cronenberg.

L’autore canadese ha voluto “in prima persona” affrontare il tema a lui carissimo della morte, da cui certo non fa mistero d’essere sedotto, forse al limite della mania? Insomma, The Shrouds è voyeurismo della morte o è un’ossessione personale dell’autore, che – ancora una volta – con apprezzabile coerenza alla sua filosofia concettuale e cinematografica, torna sul corpo con questa declinazione esistenziale?

Cassel racconta: “David mi ha detto subito sarebbe stato un personaggio ispirato a lui: questo è stato il mio centro di concentrazione. La visione del film mi ha creato stupore perché le cose che avevo scoperto nello script non le percepivo così precise come poi mi si sono rivelate guardandolo. Il mio personaggio ha una pulsione quasi di follia, altrettanto c’è una storia d’amore davvero romantica”.

L’intero film è costruito con una sofisticata estetica ferale, per quanto affascinante: il ristorante annesso al cimitero è decorato con raffinatissimi e altrettanto inquietanti abiti metallico-argentati appesi alle pareti, costumi ninja capaci di evocare mummie; l’appartamento di Karsh è arredato in stile nipponico e sempre illuminato da penombre; lui stesso – per quasi tutto lo svolgimento – indossa un abbigliamento prettamente nero, come incarnasse un Signor Morte (qui – ma per tutto il film – sarebbe interessante indagare se Cronenberg conosca e abbia riflettuto su Gunther von Hagens, il medico inventore della plastinazione, il deus ex machina dietro alla mostra mondiale Body Worlds, appunto chiamato “Dottor Morte”).

Comunque, nella vicenda, le tombe suddette, tra cui quella di Rebecca, esposte in un giardino come fossero opere minimaliste in un padiglione d’arte contemporanea, una notte subiscono profanazione: Karsh è determinato a risalire agli autori del gesto.

Le lapidi, marmoree, verticali quasi ad altezza umana, grigie, hanno incastonati nella parte alta del totem dei monitor: ciascun parente che ha dato adesione a GraveTech può così, in qualunque momento voglia vedere la propria persona, accendere quello sguardo dentro il sudario e guardare la morte o, chissà, vedere lì, nell’immagine esplicita dello scheletro, una memoria di vita. La tecnologia è di ultimissima generazione, permette non solo uno sguardo panoramico e da un unico punto di vista, ma un’esplorazione cinematografica, con anche rotazioni virtuali in 3D.

“Da regista, l’immagine è sempre una creazione interessante, un universo con creature ogni volta differenti, in cui le tecnologie concorrono. La tecnologia è come una tazza di caffè, è utile: anche l’intelligenza artificiale potrà donare più possibilità; certo, è come la fusione nucleare, qualcosa di deflagrante, ma altrettanto una possibile utilità. La tecnologia è qualcosa che permette di progredire: noi usiamo le più recenti per le necessità effettive della messa in scena, creando così quello che l’immaginazione pensa”.

Karsh, inconsolabile per il sonno eterno di Rebecca, si circonda “di lei” nelle forme più distorte e maniacali: ha un dialogo costante con Hunny (Diane Kruger), la sua assistente virtuale dalle sembianze similissime a quelle della moglie; frequenta e si lascia sedurre da figure femminili che in qualche maniera la evocano, da Soo-min (Sandrine Holt), signora asiatica e non vedente, compagna di un uomo ungherese sul finire della vita, che pare voglia rendere realtà il progetto GraveTech anche a Budapest; e, soprattutto, si stringe intimissimo con la cognata Terry (Diane Kruger), così specchiata alla sua Rebecca.

Eppure, questi rivoli erotici non distraggono Karsh dal voler sapere a qualunque costo chi e perché abbia profanato le tombe: c’entra qualcosa l’oncologo Eckler, medico che ha avuto in cura Rebecca – e parrebbe aver stretto con lei una frequentazione prima del matrimonio? E perché ricorrono Reykjavík e l’Islanda nei discorsi, nelle ricerche, nelle indagini che Karsh fa o apprende? Il fantasma di una connessione con la Russia sembra sorvolare, così come quello con la Cina: è verità o paranoia? C’è correlazione tra lui, lei, il luogo? È una cospirazione o, ancora, è un’ossessione?

“L’idea della paranoia e del complotto è anche una strategia che permette di mandare avanti il film” cercando di creare l’atmosfera thriller. “Talvolta nella vita ci creiamo delle teorie che ci permettono di andare avanti, al di là della verità. La teoria di complotto è affascinante, il tema esiste nel film, ma è qualcosa che non deve distogliere dall’idea che sia una storia d’amore”, ribadisce Cronenberg.

Karsh non riesce a elaborare l’assenza eterna di Rebecca, “la incontra” spesso, la notte, nella loro stanza da letto, nuda in tutta la sua bellezza, che poi man mano si modifica in un corpo mutilato: è sogno? È desiderio? È frustrazione? È la brama di qualcosa che ti manca così tanto che accetteresti anche in condizioni offese, pur di averla ancora accanto a te? Qualsiasi cosa ma non la morte, insomma? Cronenberg con questo film offre domande e non sempre dà risposte, certamente propone una vicenda scomoda, non perfettamente lineare, che richiede allo spettatore di non voler essere né rassicurato né di avere tutto sotto controllo, perché certamente l’autore 81enne ci porta nell’architettura complessa del suo pensare cerebrale.

“C’è l’idea che possa essere anche un sogno quello di Karsh, era un modo per non ricorrere anche ai flashback: il fatto che lei appaia mutilata non esclude però che sia ancora erotica. Ho trattato le sequenze come un sogno, mentre lui s’approccia a nuove storie d’amore e fare l’amore con altre donne è un modo per restituire il mélange tra il passato e il presente. Tutte le sue esperienze della vita passano dal sogno”, dice il regista canadese.

Per Diane Kruger “incarnare tre personaggi, con momenti molto drammatici, mi ha portato a fare una grande riflessioni sullo script: David mi ha detto che non c’era bisogno di improvvisazione, perché era tutto scritto. Ero un po’ spaventata alla proposta, perché non è un film comune, ma infine è stato un regalo: sono affascinata dalla bizzarria dell’idea, mi sono sentita vulnerabile nel ruolo triplo. Si recita una vicenda molto intima. Si riflette sull’immortalità e sulla morte, e sull’accettazione. Così nel personaggio di Cassel ci sono la solitudine e l’impossibilità di re-incontrare la persona, e allora il film sceglie il sogno: è un film ricchissimo di emozioni”.

Tirando le fila, nel film, l’unica certezza, una volta ristrutturato il cimitero profanato, dunque anche la lapide di Rebecca, è che lì, all’accensione del monitor di GraveTech, non appaia più lei…  

Con Emilia Pérez e Pathenope di Paolo Sorrentino, il film di David Cronenberg è uno dei tre titoli sulla Croisette co-prodotti da Anthony Vaccarello per Saint Laurent.

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