VENEZIA – “Me ne frego, non so se mi spiego”, cantava una canzone del Ventennio mettendo in musica uno degli slogan più icastici del fascismo. E Me ne frego! Il fascismo e la lingua italiana si intitola il documentario di Vanni Gandolfo, da un’idea della linguista Valeria Della Valle, che Luce Cinecittà ha portato al Lido in un trittico di Punti Luce per i novant’anni dell’Istituto, di cui fanno parte anche Maschere crude di Flavio De Bernardinis e Lo sguardo del Luce di Carlo Di Carlo. “Dal 1922 (l’anno in cui Benito Mussolini prese il potere) al 1943 (l’anno in cui lo perse) gli esponenti del regime praticarono una politica linguistica fondata su principi nazionalistici e puristici – spiega Valeria Della Valle – I momenti più significativi di questa politica, a volte grotteschi e quasi comici, a volte drammatici, rischiano di essere dimenticati e di non essere conosciuti dalle nuove generazioni”. Il documentario descrive dunque attraverso i filmati d’epoca, molti dei quali inediti, la politica linguistica messa in atto dal regime, riproponendo le occasioni nelle quali il linguaggio era usato in funzione di propaganda: non solo i discorsi ufficiali del duce e le parate, ma la lingua usata a scuola, alla radio, nel cinema, nel doppiaggio.
Parole e immagini. Quelle dell’archivio Luce, fonte inesauribile di conoscenza “diretta” della storia d’Italia. In questo di un’operazione di “bonifica” della lingua tentata dal regime con la creazione di un idioma uguale per tutti, al grido di “Libro e moschetto”. Autarchia linguistica e messa al bando delle parole straniere, per quanto di uso comune; interdetto per i dialetti e le espressioni delle minoranze linguistiche. Giornalisti e studiosi dell’epoca si impegnarono nella campagna voluta dal duce: tra i tanti, da D’Annunzio alla Sarfatti, risalta Paolo Morelli che nel ’33 pubblicò addirittura un libro intitolato Barbaro dominio in cui raccoglieva cinquecento esotismi da bandire tra cui mannequin e cocktail sostituiti da indossatrice e arlecchino (!). E intanto procedeva l’italianizzazione forzata di insegne e cartelli stradali, nomi geografici compresi (Coumayeur diventa Cormaiore). Con non pochi effetti di tragica ironia. Quando il voi e il tu presero il posto del “lei”, considerato borghese e affettato, il cinema dovette assecondare l’imperativo e persino un settimanale intitolato “Lei” (ovviamente inteso come terza persona femminile) dovette cambiare testata, trasformandosi in “Anna Bella”. Nella foga di fascistizzazione si voleva persino spostare il capodanno dal 31 dicembre al 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma.
Ben pochi di questi sforzi erano destinati a restare, le lingue sono organismi viventi e con una loro personalità che non si definisce per decreto. Tra le parole accolte nella nostra lingua e ancora in uso spiccano “regista” che sostituì regisseur e “autista” che prese il posto di chauffeur. “L’Italia della Marcia su Roma è un paese povero e ignorante che parla una miriade di dialetti ma l’esperimento di manipolazione messo in atto per uniformare l’italiano dimentica che la lingua delle persone non è una divisa che si indossa”, spiega Vanni Gandolfo. E aggiunge: “Pensavo di trovare moltissimo materiale in archivio, ma mi sbagliavo: non si affronta mai la questione linguistica e ho trovato un solo cinegiornale che tratta di una mostra anti-LEI. Il Luce era la macchina della propaganda del Duce e spesso quello che si trova qui non corrisponde alla realtà: si vede un paese che vince, che non ha paura di nessuno, che non ha nessuna debolezza. La politica linguistica non venne mai rappresentata perché era l’espressione di una debolezza del regime”. Il paese, da Nord a Sud, parlava dialetto e quando ci si rese conto di questo venne abolita la presa diretta, sostituita da una voce narrante ufficiale, la voce del regime, la famosa voce dei cinegiornali. “Questi rarissimi documenti – prosegue ancora l’autore – sono il centro di Me ne frego!, contraltare di un insieme di voci di propaganda e citazioni da testi d’epoca”. La lingua degli italiani, come si sa, la fece poi la televisione.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre