Uscirà il 18 marzo 2011 nelle sale italiane, in anticipo rispetto agli USA, Dylan Dog: Dead of Night, primo film, di produzione americana, ispirato agli italianissimi fumetti, pubblicati da Sergio Bonelli Editore, del famoso Indagatore dell’Incubo. L’annuncio è dato da fonti sicurissime, ovvero Guglielmo Marchetti, amministratore delegato della Moviemax, che distribuirà il film e che ne presenta in anteprima 20 minuti al Festival Internazionale del Film di Roma, nella sezione Spettacolo/Eventi Speciali.
E’ una prova importante, perché nella natia Italia – anche se come tutti sanno, nei fumetti vive e lavora a Londra – Dylan ha un vero e proprio esercito di appassionati al seguito, severissimi nel giudicare qualsiasi uscita che lo riguardi. Il film, poi, lo si aspetta da anni: il personaggio nasce editorialmente nel 1986 e la sua serie si impone subito come una delle produzioni di punta, non solo nel campo dell’horror, genere a cui esplicitamente si ascrive.
Dato l’enorme successo, presto si parla di una serie per la TV, prodotta nientemeno che dalla Rai, ma il progetto decade per i costi troppo elevati e per l’alto tasso di violenza grafica contenuta nelle storie, che avrebbe reso difficile il passaggio in fascia protetta.
Nel ’94 esce invece Dellamorte Dellamore, furbescamente venduto come “il film di Dylan Dog”. Si tratta in realtà di un’abile manovra di marketing, perché la pellicola col personaggio non c’entra granché: mette in scena invece l’adattamento dell’omonimo romanzo di Tiziano Sclavi che avrebbe poi ispirato, molto alla lontana, la creazione dell’Indagatore dell’Incubo. Ma il film ha diverse frecce al suo arco, tra cui la presenza, nei panni del protagonista, di Rupert Everett, che, per stessa dichiarazione di Claudio Villa, primo disegnatore di Dylan Dog, ha fornito la base per i lineamenti del personaggio. Ora, finalmente, arriva il “vero” film di Dylan, appropriatamente presentato a Roma durante la notte di Halloween.
Prova superata?
Sì e no. Il pubblico in sala, già maldisposto da ciò che da mesi si legge sulla rete, ha applaudito un poco ma anche molto storto il naso. Il problema non sta tanto nella qualità intrinseca di questo primo assaggio di pellicola – in linea, più o meno, con tante analoghe produzioni – quanto nelle libertà che, per scelta o per necessità, si prende nei confronti dell’originale cartaceo. Insomma, rischia troppo, e questo i fan non lo perdonano.
L’ambientazione si sposta da Londra a New Orleans, il veicolo dell’eroe, uno storico maggiolone bianco che nei fumetti ha un ruolo pari a quello dei personaggi “umani”, è qui totalmente riverniciato di nero, e mancano alcuni personaggi fondamentali nella trama, a partire dalla spalla Groucho, sosia perfetto del più famoso dei fratelli Marx.
Problemi di budget, di diritti, o di entrambe le cose, che fino a un certo punto si possono capire.
Gli sceneggiatori Thomas Dean Donnelly e Joshua Oppenheimer, insieme al regista Kevin Munroe, c’è da dire, fanno di tutto per metterci una pezza.
Tutti gli elementi che mancano all’appello, infatti, non vengono rinnegati ma semplicemente relegati al passato, come se questo film rappresentasse un sequel delle storie a fumetti: Dylan, interpretato dall’ultimo Superman dello schermo Brandon Routh – sufficientemente convincente nonostante l’accento ben poco “british” – si è trasferito da Londra in Louisiana e, in seguito a un trauma che, per ora, non viene rivelato, ha lasciato anche il suo lavoro di Indagatore dell’Incubo. Forse, chissà, c’entra qualcosa con la scomparsa di Groucho, dato che quando il suo nuovo assistente Marcus (Sam Huntington, già “migliore amico” di Routh in Superman Returns) gli chiede perché non siano diventati soci, Dylan risponde con uno sguardo malinconico: “non posso”. Cosa gli sia davvero successo, forse, potremo scoprirlo guardando il resto del film.
Altri mal di pancia li ha provocati una scena in cui il protagonista, convinto a rimettersi in gioco da un evento che non sveliamo, rispolvera tra gli “attrezzi del mestiere” una valigetta piena di strani accessori per l’identificazione dei mostri, mai vista nei fumetti.
Spezziamo però una lancia (ovviamente insanguinata): nel primo numero della serie, il leggendario L’Alba dei morti viventi, Dylan si caccia fuori da una situazione critica usando proprio una ventiquattrore carica d’esplosivo. Un espediente alla 007 che, in seguito, non è mai stato riutilizzato, e che oggi suona “buffo” e fuori luogo anche a chi segue da anni il personaggio, che di solito risolve i problemi usando piuttosto l’intuito e la logica.
Ragionando come un appassionato – il che, lo ripetiamo, non ha nulla a che vedere con la qualità effettiva del film – questi primi stralci di pellicola possono definirsi comunque “perdonabili”. Non c’è che da sperare che lo sia anche il resto e che il successo sia tale da permettere un sequel con un budget più alto, e con tutti i tasselli al posto giusto.
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