Annunciato da tempo, un primo assaggio tre anni fa alla Mostra di Venezia, Fascisti su Marte, lungometraggio satirico del comico Corrado Guzzanti, arriva dopo una lunga gestazione nelle sale il 27 ottobre, grazie a Fandango che lo ha anche prodotto (costo 1 milione e mezzo €). Il film, presentato nella sezione Extra della Festa di Roma, nasce da una minifiction televisiva a puntate, che a sua volta ampliava uno sketch realizzato nel 2002 per il programma satirico clandestino di RaiTre “Il caso Scafroglia”. In scena la parodia dell’improbabile conquista e colonizzazione del pianeta Marte, nell’anno XVII, da parte di un manipolo di fascisti guidati dal gerarca Barbagli, che viene raccontata con il linguaggio retorico dei cinegiornali di regime. Guzzanti ha infatti studiato con attenzione questi antesignani dei nostri telegiornali per coglierne il lessico e inventarne un altro finto, maccheronico. Fascisti su Marte, ricco di effetti visivi a metà tra Flash Gordon e Meliès, girato a Roma con pochi mezzi e attori/amici in una cava alla Magliana, è una graffiante riflessione sulla propaganda di ieri e di oggi.
E’ stato il produttore Procacci a chiederle di trasformare quel prodotto televisivo in un film per le sale?
Sì, ma il lavoro non è stato semplice, avevamo accumulato così tanto materiale, che il primo montaggio durava 4 ore e un quarto. L’dea di girare un film tutto raccontato con questa ‘voice over’ che non tace un attimo, che mette 10 aggettivi al secondo, ci preoccupava. Il problema è stato come rendere sopportabile la cosa per la durata di 90 minuti e abbiamo recuperato dell’audio che non era previsto nell’idea originale di un film muto con le didascalie. In fondo Fascisti su Marte è un cinegiornale di propaganda che va male mentre si racconta. Da cinegiornale lentamente diventa un film e si colora di più avvicinandosi ai toni saturi delle pellicole degli ultimi anni ’30.
Il film ha richiesto una lunga lavorazione?
C’è voluto molto tempo perché la grafica è stata complicata, così come la ricerca delle musiche originali, che sono state trattate, abbiamo ‘lavato’ dei vecchi 78 giri. Il tutto per avere un cinegiornale come quello degli anni ’30.
Ha ironizzato sul passato fascista per parlarci dell’oggi?
Fascisti su Marte è un prodotto sperimentale. Mi interessava più che il fascismo, il linguaggio della propaganda che ancora esiste nel nostra Seconda Repubblica, quel linguaggio declamatorio che a distanza di 50 anni è ancora lì, con le verità taciute, il non detto, il nazionalismo, gli slogan. Abbiamo preso tre volti che sono simbolo della politica italiana: Andreotti, Forlani e Cossiga. Ce ne potevano essere altri, ma sarebbe durato troppo. Il quarto volto, Licio Gelli, allude alla storia d’Italia con i suoi misteri cospiratori al di sotto della politica.
Perché quell’epilogo?
Uno dei temi è che in questo paese non si approda a una verità storica definitiva, che coesistono verità contraddittorie, che s’assiste a una campagna elettorale dove due candidati di fazioni opposte citano dati Istat diversi, e non c’è nessuno che li smentisca. Nel film dovevamo chiudere i conti con il problema del vero e del falso e l’epilogo significa che gli italiani sono abituati a bere balle più grosse della conquista fascista di Marte. E in più c’è l’allegoria della fine del fascismo, che in verità non c’è mai stata, se non una pacificazione, senza processi ai criminali di guerra.
Progetti futuri?
E’ un momento in cui non so bene che fare di me, mi piacerebbe continuare con il cinema. Non muoio dal desiderio di tornare in tv, dove la situazione è ancora molto fluida.
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