Monica Passeri, abruzzese, nome d’arte Miss Monica, e Karim Bartoli, romano, nome d’arte Karim Brigante sono i due wrestler, compagni di vita e spesso di ring (il loro nome di battaglia congiunto è Roman Dinasty), raccontati in un loro ritorno a casa, in Italia, in Wrestlove-L’amore combattuto, il documentario di Cristiano Di Felice, che aprirà in anteprima il Sulmona International Film festival (6 – 9 novembre).
Miss Monica si è trasferita, giovanissima, da Caprara, piccolo paese in Abruzzo,in Missouri insieme al suo compagno Karim, anche lui wrestler professionista, e hanno frequentato a Troy la più importante accademia di wrestling – la Harley Race Wrestling Academy – che ha permesso loro di costruirsi una carriera internazionale. Dalla World League Wrestling sono riusciti ad arrivare allo show di punta della WWE, anche per la National Wrestling Alliance federazione storica di proprietà della rockstar Billy Corgan.
Coppia nella vita e sul ring, viaggiano soli per difendere i loro titoli nei circuiti indie americani.Durante la permanenza in Abruzzo rendono omaggio alla statua di Bruno Sammartino – “The Living Legend”, un’icona del wrestling americano – nella sua città natale, Pizzoferrato. Oltre a difendere i loro titoli, in Italia approfittano per visite e controlli sanitari, a causa dell’elevato costo delle cure mediche americane. Monica ritrova la famiglia, Karim, invece, deve fare i conti col suo passato e il tempo è poco prima di ripartire nuovamente.
“Ho capito fin da subito che avevo di fronte due ventenni che rappresentano una generazione completamente libera da vincoli e che non avverte il peso delle scelte radicali – spiega il regista Cristiano Di Felice – Fare i wrestler per Monica e Karim non è una scommessa, non hanno scadenze o piani b. Rispetto ai miei vent’anni, quando all’orizzonte c’era in genere il compromesso, magari rappresentato da un lavoro sicuro oppure da una laurea come possibile trampolino per la carriera, loro sono cresciuti in piena crisi economica, perciò non percepiscono il concetto di stabilità. Questo, in qualche modo, li ha emancipati dalle decisioni dettate dalla necessità e non li espone a rimpianti. Non ci sono conflitti nel mio film, non volevo alimentarli: volevo raccontare la normalità di una coppia di lottatori, tra l’Italia e l’America, che conducono la loro vita con la stessa tranquillità di chi ha un impiego statale”.
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