CANNES – Alla vigilia dei premi, arriva dall’India un film che è stato un colpo di fulmine per molti spettatori al 77° Festival di Cannes e che potrebbe sparigliare le carte. All We Imagine as Light della regista 39enne Payal Kapadia, vincitrice de L’Oeil d’or al miglior documentario nel 2021 con A Night of Knowing Nothing è un film poetico che illumina i suoi personaggi con grande empatia ed è anche un omaggio a Mumbai, che ci viene mostrata nella stagione piovosa del monsone e anche messa a contrasto con il contesto della seconda parte del film, che si svolge in una località balneare verso Sud, in direzione di Goa. Mumbai ne esce con le sue contraddizioni lampanti, grande metropoli in espansione, dove la speculazione edilizia spadroneggia, ma anche immenso mercato all’aperto e crogiolo di lingue e di etnie.
Kapadia, una delle poche autrici in concorso al Festival, descrive la vita quotidiana di tre infermiere di diverse generazioni: Prabha è una donna di mezza età (Kani Kusruti), Anu una giovane che si affaccia alla vita (Divya Prabha) e Parvaty (Chhaya Kadam) una più matura, alle soglie della pensione.
La sensibile Prabha ha sposato un uomo che non conosceva e che è quasi subito emigrato in Germania, non si vedono da tempo e non si sentono da un anno, la cosa la turba, ancor più quando dalla Germania arriva in regalo un elettrodomestico da cucina senza neanche due righe di biglietto. C’è intanto un medico dell’ospedale dove lavora che la riempie di piccole attenzioni, ma lei rimane fedele al fantasma del marito (fantasma che nella seconda metà del film si materializzerà accanto a lei). Nel frattempo la disinibita e vivace Anu, destinata anche lei a un matrimonio combinato, è innamorata del musulmano Shiz (Hrudhu Haroon), un amore proibito dalle rigide regole sociali ma che i due giovani cercano in tutti i modi di vivere in segreto.
Il film, che tra l’altro ha avuto il sostegno del Torino Film Lab, è diviso, anche cromaticamente, in due parti. “A Mumbai, nella stagione delle piogge, tutto è blu pallido con venature di grigio e questi colori hanno guidato il direttore della fotografia Rabinar Das“, spiega la regista. “Mentre a Ratnagiri le rocce rosse hanno suggerito un cambio di palette”.
Il film nasce dalla rielaborazione di un saggio di diploma alla scuola di cinema, ma Payal Kapadia si è lasciata ispirare anche dall’esperienza personale della malattia di alcuni familiari ed è davvero poetico il suo modo di rappresentare le azioni della cura in quest’opera che mette al centro la figura femminile, con tutti gli ostacoli che l’esistenza di una donna incontra nell’India contemporanea. Notevoli, d’altronde, anche i personaggi maschili ricchi di poesia: il giovane amante islamico, il medico gentile e un annegato che Prabha riuscirà a salvare.
All We Imagine as Light tra l’altro riporta l’India in concorso al Festival di Cannes, a trent’anni da Swaham di Shaji N. Karun.
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