L’idea più originale e caratteristica del nuovo workshop di sceneggiatura del TorinoFilmLab, il ComedyLab, è stata quella di affiancare ai progetti cinematografici e ai loro autori, altrettanti giovani comedian internazionali, capaci di offrire un punto di vista esterno e innovativo alle loro storie. Dei quattro comici impegnati nel laboratorio che sta portando allo sviluppo di altrettante commedie, Cecilia Gragnani è l’unica italiana, anche se la sua vita è da oltre 15 anni legata a stretto filo con il Regno Unito e, in particolare, con Londra.
Nella sua carriera di versatile attrice e autrice, ha collaborato con il giornalista sportivo Federico Buffa, ha scritto il documentario Maradonapoli, il podcast London Expat e il libro Inseguendo un sogno. In sviluppo ha una serie tv e il suo primo lungometraggio.
Cecilia, da dove nasce il tuo interesse per la commedia?
Tutto è nato quando ho iniziato a studiare teatro al liceo a Milano, andavo in una scuola di teatro che si chiama Quelli di Grock, che era molto basata sulle figure dei clown. Lì è nato un interesse, forse perché era quello che mi veniva meglio. Da lì, essendo quello che mi veniva più facile, l’ho perseguito.
Quali sono i tuoi punti di riferimento in ambito comedy?
Mi piace molto Ricky Gervais, in The office in particolare è stato in grado di mettere la sua idea di commedia al servizio di un racconto e di un personaggio. Amo molto la struttura comica di Woody Allen. Amo Fantozzi: l’anno scorso l’hanno dato al cinema a Londra ed è stato bellissimo per la prima volta sul grande schermo. Era ancora molto attuale, amo molto la commedia fisica.
Cosa ti porti a casa da questa esperienza del ComedyLab?
Mi porto a casa degli amici. Persone con cui si sta costruendo un legame, seppure in poco tempo. Questo sembra scontato in un workshop, ma non necessariamente è così. Oltre alle competenze su come migliorare la scrittura comica nell’ambito del cinema indipendente, che è quello che il laboratorio vuole fare, capire come i vari toni di commedia possono funzionare a seconda delle storie. C’è poi uno sguardo sul mondo, perché i progetti partecipanti provengono da luoghi diversi, raccontano storie molto diverse, hanno sensi dell’umorismo diverso, quindi è molto nutriente. I tutor sono magnifici e il clima è molto accogliente. Questo ti permette di imparare meglio. Ci stiamo divertendo molto.
C’è qualcuno dei progetti presentati con cui ti piacerebbe lavorare?
Lavorare non lo so, perché sono tutti progetti molto personali e questo lo rispetto. Mi sento molto vicino al progetto di Lilian, Honejoon, per i temi che affronta. Sono tutti molto molto interessanti e divertenti.
Quali sono le difficoltà e le potenzialità di lavorare sulla comedy in un contesto così internazionale?
Vivendo da tanti anni in Inghilterra mi sono adattata a lavorare in un’altra lingua, che vuol dire anche inglobare una cultura, un modo di esprimersi. Credo che la comicità sia anche culturale: ci sono cose che, mi rendo conto, io sento di più nel progetto di Luca e Stefano, The Last Queen, perché conosco quel mondo. Non so se si può proprio trascendere la lingua, ma credo che ci sia un modo per andare il più vicini possibili a un’intenzione che possa essere colta al di là del contesto sociale.
Dal tuo punto di vista di cittadina britannica, qual è lo stato della commedia italiana?
Credo che lo sguardo del mondo anglosassone sulla commedia italiana sia inesistente. Loro sono bravissimi ma anche un po’ snob. In quanto italiana e fruitrice credo che ci sia una rinascita, ma credo anche che non ci sia ancora abbastanza fiducia nello spettatore. Uno dei motivi per cui questo lab è prezioso è far vedere che fare commedia non vuol dire necessariamente cercare la scelta più sicura di risata del pubblico. Penso che film come quello della Cortellesi possa essere un buon esempio di un’autrice che sicuramente sa maneggiare molto bene la commedia, ma che sa anche unire i registri. Che la commedia non sia solo farsi due risate e poi tornare alla vita di prima. Anche Flaminia di Michela Giraud affronta temi importanti e lei ha uno sguardo comico sul mondo. Mi sono venute in mente loro. Poi non è che in UK ne arrivino tanti di film italiani. Verrebbe da dire che ci vorrebbe più fiducia nelle idee che paura di non intercettare quello di cui il pubblico ha bisogno.
Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?
Vorrei realizzare dei miei progetti. Vorrei fare due film da regista. Mi piacerebbe avere altri due bambini che siano, diciamo, “creativi”. Di idee ce ne sono tante, ma bisogna trovare i giusti interlocutori. Una è una storia italiana, l’altra più adatta a un contesto inglese, perché è una commedia sulla morte, che da noi è un tema un po’ difficile.
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